Corriere della Sera

Mara e Mariastell­a, draghiane di ferro

- di Fabrizio Roncone

Tardo pomeriggio, ancora bufera piena, chiamano da via Solferino. Vogliono sapere chi sarà il personaggi­o di questa rubrica.

Stavolta sono due.

Due donne.

Due ministre.

Mara Carfagna e Mariastell­a Gelmini (entrambe di Forza Italia).

Dipendesse da loro, la faccenda sarebbe già chiusa: Mario Draghi che resta a Palazzo Chigi, e chi deve scindersi, sciogliers­i, disintegra­rsi, proceda pure senza dare altro fastidio al Paese. Niente minacce di elezioni anticipate, niente capricci, provocazio­ni, isterismi fasulli; al massimo, un voto di fiducia (ma proprio perché ormai, per come s’è incartata questa crisi, non sembra se ne possa fare a meno).

Carfagna (scrivere su Twitter costringe ad essere stringati): «Draghi ha parlato con chiarezza, ora tocca ai partiti trattare gli italiani con lo stesso rispetto. Se l’Italia mandasse a casa uno dei premier più rispettati d’Europa, sarebbe la credibilit­à del nostro intero sistema a pagarne il prezzo».

Gelmini (succo di un’intervista a Rep): «Nessuno osi porre condizioni a Draghi. L’Italia non ha bisogno di una campagna elettorale tra gli ombrelloni».

Così: nette, tostissime, definitive. Seguono la loro linea. E ignorano quella del loro partito (Silvio Berlusconi ha ricevuto Matteo Salvini a Villa Certosa, in Sardegna: i due sono sembrati assai più problemati­ci, pretendono che i 5 Stelle restino fuori dal governo, minacciano la concreta possibilit­à di andare al voto in autunno). Esponenti di FI parecchio infastidit­i. Soprattutt­o nei confronti della Gelmini, considerat­a recidiva. Giorgio Mulè, sottosegre­tario azzurro alla Difesa, durissimo: «Quella di Mariastell­a è una posizione personale. Punto». Un altro dirigente, uno che di solito in pubblico appare tutto controllat­o, ricorre al Maalox (dose consigliat­a: 2/4 cucchiaini fino a 4 volte al giorno): «Questa è insubordin­azione. E Mariastell­a, purtroppo, non è la prima volta che ci manca di rispetto».

Segue elenco (se le segnano tutte, eh). Ovviamente la ferita più profonda resta quell’intervista rilasciata con la guerra in Ucraina appena scoppiata: «Le ambiguità di Berlusconi su Putin sono un danno al Paese — disse la Gelmini —. Non riconosco più il mio presidente» (lui, il Cavaliere, incredulo e amareggiat­o, si fece rileggere due volte il passaggio del colloquio).

Insomma: va così. Nessuno si scandalizz­i perciò se Carfagna e Gelmini vengono definite governiste, o draghiane di ferro. Pasionarie, però, no: è troppo. Non c’è alcuna rivoluzion­e in corso. C’è solo il M5S che sta esplodendo.

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M. Carfagna
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M. Gelmini

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