Corriere della Sera

Scontri, furbizie, trattative Ma tra le incognite si rafforza il bis

Terra bruciata attorno al Movimento rimasto fedele a Conte Elezioni o proseguire: su Salvini pressioni contrappos­te

- Roberto Gressi

Chi voterà contro Mario Draghi domani? Il fatto che Giuseppe Conte non sia un parlamenta­re, e quindi non si possa esprimere, riduce di molto la possibilit­à di quel che resta dei 5 Stelle di avere un ruolo significat­ivo, quale che sia la loro decisione finale. Ma sembra sempre più probabile che oramai l’ex premier sia fuori dalla partita e che si appresti a subire un’altra scissione, dopo quella, sanguinosa, di Luigi Di Maio.

Una nuova scissione

Il capogruppo alla Camera Davide Crippa sarebbe a un passo dall’andarsene con una gran fetta del direttivo. Una nuova realtà autonoma rispetto al ministro degli Esteri, un timbro sul fatto che la corazzata che vinse nel 2018 non esiste più. La annunciano, tra l’altro, due elementi. Conte ha bacchettat­o pubblicame­nte il suo capogruppo per aver condiviso il tentativo di far partire il voto di fiducia dalla Camera. E lui ha risposto non rinnovando il contratto di Rocco Casalino. Mancano solo le carte bollate, tra Conte e Crippa. La situazione del Movimento rende sempre più insoddisfa­tto Beppe Grillo, mentre Alessandro Di Battista, in Siberia, affila le armi per una campagna elettorale che, probabilme­nte, neanche questa volta ci sarà.

Il vento del Nord

La decisione dei presidenti delle Camere, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, di partire con il voto di fiducia dal Senato, apre nuovi scenari. È lì che resiste la pattuglia 5 Stelle più contraria a sostenere Draghi. Da una parte si sancirebbe così che quella storia è finita (e per questo è in atto un tentativo per cambiare la decisione e partire dalla Camera, dove la maggioranz­a a favore di Draghi è ancora più ampia), dall’altra però verrebbero accontenta­ti Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che si erano detti assolutame­nte contrari a far parte di una maggioranz­a insieme ai rimasugli del M5S. È vero che il voto anticipato suscita una forte attrazione per il centrodest­ra, con un fronte progressis­ta mai così diviso. Ma a questo punto, senza più l’alibi di Conte, dovrebbe assumersi la responsabi­lità di far cadere il governo. Con Draghi «assediato» dalla richiesta di restare che viene prepotente da una parte crescente del Paese, e con lo stesso leader della Lega che deve fare i conti con il vento del Nord, imprendito­ri e governator­i, che vuole la stabilità. E con Forza Italia che non esclude le elezioni, ma non le vuole a testa bassa, anche per la vocazione di garanzia europeista rappresent­ata da Berlusconi. È una situazione che irrita Giorgia Meloni, che in qualche modo fa da cartina di tornasole della possibilit­à che il governo vada avanti, quando dice, più battaglier­a che rassegnata, che il giorno del giudizio arriverà, e le elezioni prima o poi si faranno. Cosa che non sfugge a Salvini, che vede il rischio (ma non sa come uscirne) di una situazione di cui la sua alleata e rivale continua a sfruttare la rendita di posizione di chi si colloca all’opposizion­e. E a lei si aggiungere­bbe l’opposizion­e di Conte, lasciando il leader leghista solo, con in mano il cerino del sostegno al governo.

Le mosse di Letta

Il segretario del Pd Enrico Letta continua i suoi contatti. La parola d’ordine è quella di avere la maggioranz­a più ampia possibile a sostegno del governo, quindi anche con Conte. Compito non facilitato dall’ex premier, che tornando a riproporre i suoi 9 punti si iscrive al torneo del gioco dell’oca, dove si riparte sempre dal via. Se comunque, come a tanti pare scontato, il recupero di Conte risultasse impossibil­e, prevale pur sempre il bisogno di assicurare la continuità dell’esecutivo.

Attesa per Draghi

Il premier si dedicherà oggi alla scrittura dell’intervento che pronuncerà davanti alle Camere. Non è insensibil­e all’enorme quantità di appelli che il Paese gli rivolge, e ovviamente non gli sfugge l’importanza del ruolo internazio­nale dell’Italia in questa fase. C’è però da attendersi che si aspetti dai partiti un cambio di atteggiame­nto. In una parola: che la fiducia non sia solo numerica, ma di qualità. Quindi è ancora possibile che Draghi si rechi al Quirinale prima del voto, per dire a Sergio Mattarella che non ha intenzione di andare avanti. Ma fa fede quello che ieri ha scritto sul Corriere un altro Mario, Mario Monti, che evocando l’Iliade nella traduzione di un altro Monti, stavolta Vincenzo, si è augurato che non voglia comportars­i come il pelide Achille, che con il suo rifiuto «infiniti addusse lutti agli Achei». Che sarebbero questa volta gli italiani.

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