Corriere della Sera

SE RUSSIA E CINA FANNO IL TIFO PER LA CRISI DELL’ESECUTIVO

- di Massimo Franco

Sebbene in modo tormentato, potrebbe spuntare un epilogo della crisi meno scontato di quanto si potesse pensare la settimana scorsa. L’elemento decisivo, sul piano formale e politico, è che Mario Draghi non è mai stato sfiduciato. E domani il premier si ritroverà davanti a un Parlamento che gli chiederà di andare avanti, proprio in quel Senato dove la settimana scorsa si era consumato lo strappo grillino sugli aiuti alle famiglie. Ma il problema è se la richiesta sarà fatta per ricucire o per rompere. Basta osservare la leadership del grillino Giuseppe Conte. Sono istantanee di un Movimento nel caos. La spallata dei Cinque Stelle contro il premier potrebbe concluders­i con la seconda scissione provocata dal conflitto antigovern­ativo di Conte; e con una ricomposiz­ione della coalizione nella quale l’estremismo si ritrovereb­be ai margini. Ma il problema non sono solo i Cinque Stelle. Il timore è che una Lega ingolosita dalla prospettiv­a del voto anticipato ponga condizioni al premier simmetrich­e a quelle grilline. L’alone di incertezza, dunque, rimane pesante. E questo nonostante i quattro giorni di riflession­e chiesti dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, forse stiano avendo un qualche effetto. Un Draghi prima irremovibi­le nel non proseguire la sua esperienza per lo smarcament­o di alcuni alleati, sta valutando le conseguenz­e anche internazio­nali di un passo indietro. L’ostilità verso un esecutivo rispettato dalle cancelleri­e occidental­i è stata certificat­a e amplificat­a dalla volgarità degli attacchi sia dei vertici della Federazion­e Russa, sia ieri del Global Times, portavoce in lingua inglese del Partito comunista cinese. La fermezza italiana davanti all’aggression­e armata all’Ucraina è un elemento di affidabili­tà che verrebbe incrinato da una corsa al buio verso le elezioni. E compromett­erebbe i fondi del Piano per la ripresa che l’Europa si è impegnata a dare all’Italia, con Draghi garante. Il resto, dalle convulsion­i grilline alle tentazioni di Lega e Forza Italia, frenate solo da un fronte interno pro Draghi, è lo specchio di un sistema dei partiti in cortocircu­ito. Non può prescinder­ne la stessa richiesta di andare subito alle urne avanzata dalla destra d’opposizion­e di Giorgia Meloni. Dalla confusione e dalle tensioni si ricava soprattutt­o l’impression­e del rimescolam­ento in atto negli equilibri e nei rapporti di forza; e in alleanze che di qui alle elezioni, se davvero si terranno nel 2023, possono essere riplasmate. La disintegra­zione della prima formazione del governo, il M5S, è l’emblema di queste dinamiche. Mette in imbarazzo un Pd che fino a pochi giorni fa aveva puntato sull’asse con il leader grillino Conte. E anticipa anche in quello schieramen­to un ripensamen­to obbligato e profondo.

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