Ora Putin chiude i rubinetti del gas Gazprom: «Circostanze straordinarie»
Le forniture all’Europa a rischio già nell’immediato. Oggi a Teheran i colloqui per sbloccare il grano
KIEV Putin chiude i tubi del gas e prepara un inverno choc per l’Europa. Già indietro da mesi nelle forniture contrattuali, il monopolista russo Gazprom ha fatto sapere di non poter garantire gas ai clienti in Europa a causa di circostanze «straordinarie». L’affermazione, contenuta in una lettera datata 14 luglio e diffusa dall’agenzia Reuters, ha tutta l’aria di essere l’inizio di una causa giudiziaria in cui Mosca cercherà di sottrarsi agli obblighi contrattuali e alle penali per «forza maggiore».
Lo zar sa che razionamenti e freddo potrebbero dividere il fronte di sostegno all’Ucraina, quindi stop alle forniture prima che i Paesi dell’Unione abbiano costruito una vera alternativa alla sua energia. Putin è in guerra e ha dimostrato di essere disposto a tutto per vincere. Sta radendo al suolo una città dopo l’altra in
Donbass, le sue truppe sono accusate di migliaia di crimini di guerra, spegnere il riscaldamento a chi gli ha imposto dure sanzioni economiche e continua a rifornire di armi il nemico ucraino non deve sembrargli niente di fuori misura.
L’Europa ha avviato un piano pluriennale per rendersi indipendente dalle forniture russe. Draghi in Algeria, la presidente della Commissione Ue Von der Leyen in Azerbaigian, il presidente francese Macron negli Emirati, tutti cercano fornitori alternativi. Putin ha mesi, non anni per sfruttare il suo vantaggio. Se vuole far male deve colpire subito, tagliare il gas quest’anno, adesso, in modo che i depositi non si riempiano e le scorte bastino solo sino a gennaio. E con la mossa di Gazprom lo sta facendo. Dall’11 luglio il gasdotto Nord Stream 1 è in manutenzione e i flussi sono limitati, ma la famosa turbina che era in riparazione in Canada e che la Germania si appresta a restituire non basterà perché Gazprom non vuole che basti. L’Europa starà al freddo oppure si dovrà adeguare al razionamento da subito. Miliardi di Pil sono a rischio, la recessione è assicurata.
Mosca prende così l’Europa in contropiede e intanto aumenta il suo export verso la Cina affamata di energia, politicamente vicina e pronta a pagare. Le conseguenze in Europa potrebbero essere a favore di Putin rompendo il fronte pro Ucraina oppure potrebbero spingere l’Europa ad una reazione ben più energica di quella avuta sinora. La scelta è politica e non obbligata.
Il ricatto del gas si aggiunge a quello sul grano. Impedendo l’export ucraino di grano con il blocco del porto di Odessa, Mosca ha sfruttato in questi mesi la sua grande produzione di grano intessendo relazioni con diversi Paesi poveri. È stata Mosca a sostituire le forniture ucraine cancellate. E i Paesi beneficiati le sono stati riconoscenti.
Oggi a Teheran ci si aspetta un passo avanti per lo sblocco dei porti. Si incontreranno i leader di Russia, Turchia e Iran. Ufficialmente per parlare di Siria, ma ci sarà molto altro sui tavoli.
In un incontro bilaterale, Putin ed Erdogan dovrebbero definire le modalità per l’export del grano ucraino. Mosca vuole la garanzia turca che le navi non porteranno armi all’Ucraina, Ankara vuole presentarsi in Medio Oriente come potenza imprescindibile e in questo momento può farlo perché Paesi arabi e Nord Africa rischiano rivolte per l’aumento del pane.
A Istanbul, settimana scorsa, Ucraina, Russia, Turchia e Nazioni Unite avevano annunciato un nuovo incontro sulla crisi del grano per domani. C’era parecchio ottimismo sia da parte turca che Onu, ma l’appuntamento non è stato confermato. Il colloquio di Teheran potrebbe aiutare. Tutta da scrivere, invece, la risposta europea al blocco del gas.