Corriere della Sera

«Una prof mi disse: non ce la farai Canto per sfogarmi»

- di Renato Franco

«Il mio idolo? Martin Luther King. Quando l’ho studiato a scuola sono davvero rimasto impression­ato, quell’ideale, quella forza, quel discorso mi sono rimasti impressi per tanto tempo. Quella era la sua meta: fare del bene al mondo». In tempi in cui c’è chi non sa chi sia Strehler, fa quasi commuovere che un ragazzo di 19 anni, di mestiere popstar, metta Martin Luther King in cima ai suoi idoli giovanili. Sangiovann­i (vero nome Giovanni Damian, «san» visto che gli è sempre stato detto di non avere la faccia da bravo ragazzo) ha vissuto la sua «stranger thing» grazie ad Amici, il talent che ha mandato sottosopra il suo mondo: il successo di Malibu; un nuovo disco, Cadere Volare, che è stato certificat­o con 21 dischi di platino e 5 d’oro; un tour che a ottobre lo porterà a Roma e Milano.

Martin Luther King è lassù in alto. Il tuo messaggio quale vuole essere?

«Che ci si può voler bene, che si può essere liberi di essere ciò che si vuole; la cosa che mi importa di più con la mia musica è che le persone ci si possano ritrovare, il mio scopo è aiutare chi è in difficoltà. La musica è uno sfogo per tanti e lo è anche per me; a un certo punto non ero in un bel momento, ma capire che potevo esprimermi con la musica mi ha svoltato e cambiato la vita. Anche da ascoltator­e, alcuni brani mi hanno fatto capire tante cose, è un po’ come fare terapia. Scrivo per me stesso, per farmi stare meglio. Ma anche per gli altri, perché si sentano accettati».

Da ascoltator­e qual è l’ultima canzone che ti ha aiutato a stare meglio?

«Like You Do di Joji. Il ritornello dice: nessuno mi ama come fai tu. In questo mondo è difficile trovare delle persone vere, che ti vogliono bene per quello che sei. Quella canzone mi ha fatto dividere in un istante le persone che mi amano davvero da quelle che non lo fanno».

Fai parte della Generazion­e Z, quali sono i vostri valori?

«La nostra è la generazion­e della determinaz­ione, dell’accoglienz­a, della fluidità, siamo ragazzi che vogliono creare nuove cose, che vogliono entrare nel mondo degli adulti e poterci lavorare insieme. È bello vedere che i giovani di oggi capiscano la libertà di essere ciò che vogliono, stiamo sconfiggen­do dei tabù che ci sono sempre stati e che probabilme­nte ci saranno ancora perché altrimenti non esisterebb­e la trasgressi­one... Se non ci fossero delle regole nessuno proverebbe a cambiarle».

Ma avete anche qualche difetto...

«Siamo una generazion­e virtuale, tecnologic­a: meno rapporti umani, più apparenza; meno interiorit­à, più guarda che bel fisico, guarda che bell’orologio. Se apri i social si perde la profondità delle persone, su 20 profili almeno 17 sono di persone che pensano ad apparire. Questa cosa mi spaventa. A me interessa di più l’interiorit­à, lo dico in Tutta la notte: Entrarti più dentro a quel mondo che hai dentro / Per girarlo tutto e farmi una cultura mondiale / E spogliarti nuda con i vestiti addosso / Le forme più belle sono quelle che tieni nascoste».

Quel senso di libertà di cui parlavi da dove ti viene? Chi te l’ha insegnato?

«Sono cresciuto in un contesto in cui c’erano tanti schemi mentali e barriere, a partire dalla scuola. Vengo da Grumolo delle Abbadesse, un paesino di 3.000 persone in Veneto; lì le persone non hanno una mentalità così aperta e io ho sempre combattuto queste chiusure, più le vedevo e più non mi piaceva, anche perché le cattiverie le ho subite molte volte e non voglio che per colpa mia le subiscano altre persone. Una volta a 14 anni corressi l’insegnante di inglese che aveva sbagliato: mi rispose che dovevo finirla, perché nel mondo del lavoro avrei preso solo schiaffi e la mia vita sarebbe andata male. Quei pregiudizi mi hanno fatto talmente male che scrivo anche per questo, noi cantanti abbiamo un potere mediatico da sfruttare in maniera positiva, non per fare hating».

L’immagine classica da popstar non ti appartiene? Ci credono in tanti nel tuo mondo...

«Io nei miei concerti non mi presento come l’artista davanti ai fan: siamo tutti ragazzi che sono lì per la stessa passione. Non me ne frega niente di tutta questa vibe da popstar, che wow, ho fatto questo e quello, sono cazzate incredibil­i in cui la gente si perde. Non mi interessa la villa alle Maldive, vorrei che restasse qualcosa di me e di quello che ho detto; per me l’importante è aiutare le persone, questo è il senso di questo mestiere».

Il dissing, l’hating, il rap game, la gara a mostrare i muscoli fanno però parte del mondo di certa musica.

«Io mi dissocio. Sono fuori da quelle dinamiche, si perde tempo a dissare gli altri. Se ognuno stesse al proprio posto e pensasse solo a fare musica andrebbe meglio. Ognuno può fare quello che vuole, ma è giusto avere la coscienza di quello che si sta facendo: se lanci messaggi sbagliati le persone li recepiscon­o. Bisogna stare attenti al proprio potere mediatico e usarlo in maniera positiva».

Però certi rapper cantano solo di sesso, droga e soldi.

«Non è che a me non piace fare l’amore e schifo i soldi, e non parlo a chi si droga. Tolta la droga, penso che siano cose

che interessan­o a tutti; l’amore è un istinto naturale, senza fare gli ipocriti i soldi servono e lavoriamo per quello. La musica è libertà di espression­e, ma oltre che artisti siamo personaggi pubblici, le faide sono inutili».

Tanta popolarità, ma anche tanto odio.

«Ne ho sofferto parecchio, chiunque apre i social e giudica, insulta, offende, senza filtri. C’è davvero poco buonsenso, a molti non importa se tu stai male, a loro importa della loro stupida gloria di aver scritto qualcosa contro qualcuno solo per attirare l’attenzione».

Sangiovann­i, da «Amici» a 21 dischi di platino «Ai concerti mi sento come i ragazzi tra il pubblico»

Fluidità e tabù

«La mia generazion­e è quella dell’accoglienz­a e della fluidità. Stiamo sconfiggen­do i tabù»

” Guarda che fisico, guarda che bell’orologio: su 20 profili social almeno 17 sono di persone che pensano ad apparire. Questo mi spaventa Il mio idolo? È Martin Luther King

Il tuo ultimo disco è «Cadere Volare», due opposti. Sono l’incubo e il sogno?

«Sono due condizioni naturali della vita. Non si deve avere paura di cadere e non si deve neanche troppo sognare di volare. Ho iniziato a fare musica in un momento buio, ho pensato che la musica mi salvasse, e l’ha fatto. Ma poi a un certo punto mi sono sentito come prima, in un periodo non dei migliori, e la musica c’era. Significa che ci saranno sempre momenti in cui si cade, e non c’è da vergognars­i. Nei momenti no mi chiedevo: c’è chi non ha la mia fortuna, perché perdo il tempo a stare male? Ora tengo fissa una delle cose che mi ha insegnato il mio terapeuta: ogni sofferenza ha la sua dignità. Cadere non è una cosa da temere, ma da gestire, da vivere, da lì puoi riuscire a volare, anche nuotando dentro alla tristezza e alla depression­e».

 ?? (foto M. Barbaglia) ?? Gen Z Sangiovann­i, classe 2003, definisce la sua generazion­e «determinat­a» ma anche troppo interessat­a alle apparenze
(foto M. Barbaglia) Gen Z Sangiovann­i, classe 2003, definisce la sua generazion­e «determinat­a» ma anche troppo interessat­a alle apparenze

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