LA DEMOCRAZIA È FRAGILE OCCORRE UNO SFORZO SOLIDALE
La crisi politica Sarebbe opportuno che dai partiti arrivasse un impegno per convincere Draghi a proseguire la sua azione
Le democrazie sono regimi fragili, fondati sul consenso dei cittadini, e se sottoposti ad eccessive tensioni possono venir meno. Anche la democrazia italiana ha conosciuto almeno due profonde crisi, con esiti però diversi. All’indomani della Prima guerra mondiale un’altissima inflazione, con il conseguente impoverimento della classe media; la fallita riconversione dell’industria bellica e i conseguenti fallimenti bancari; la diminuzione dei salari reali e l’aumento delle situazioni di povertà assoluta; portarono nel biennio 1919-1921 alle «settimane rosse» e all’occupazione delle fabbriche. Nell’incapacità dei partiti del tempo, sia tradizionali (i Socialisti e le forze del mondo liberale), sia nuovi (in particolare i Popolari), di dar vita a governi di unità nazionale, alla violenza rossa si rispose con la violenza nera e la debolezza delle istituzioni, in particolare gli errori della Corona, portarono al fascismo.
La democrazia italiana ha conosciuto un secondo serio rischio negli anni ’70 dello scorso secolo, con gli opposti estremismi culminati nella stagione del terrorismo delle Brigate Rosse. Al pericolo, governo e opposizione — guidati dai due maggiori partiti italiani, Dc e Pci — risposero però unitariamente dando vita alla stagione della solidarietà nazionale, superando così storiche differenze nel nome dell’interesse del Paese. Anche allora erano presenti gravi tensioni internazionali, una fortissima inflazione e una seria crisi energetica seguite alla guerra del Kippur. Ma la risposta unitaria delle maggiori forze politiche, guidate ancora da una classe politica all’altezza dei tempi, seppe scongiurare il venir meno della democrazia italiana.
Alla luce di questi precedenti storici come giudicare l’attuale situazione italiana? La nostra crisi va innanzitutto giudicata alla luce della situazione internazionale. È facile prevedere che in assenza di decisivi sviluppi sul campo di battaglia la guerra in Ucraina non conoscerà tregua sino alle elezioni americane di mezzo termine. La caduta di Johnson, la dipendenza dal gas russo della Germania, le difficoltà di Macron, e ora la crisi italiana, sono tutti fattori che indeboliscono la posizione occidentale e che spingono la Russia a considerare gli Stati Uniti come l’unico vero interlocutore in una trattativa. Logico quindi attendersi che un serio confronto non inizi prima delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. Altrettanto logico attendersi che per lungo tempo guerra, crisi energetica e inflazione non verranno meno. In queste condizioni possiamo solo sperare che l’azione dei nostri governi non aggravi questi fattori che costituiscono un serio rischio per la tenuta dei più deboli tra i nostri regimi democratici. Se queste condizioni continueranno, e malgrado che attualmente la nostra economia sembri in buona salute, è inevitabile che in autunno vi saranno fortissime tensioni sociali. In assenza di misure adeguate da parte di un governo in pienezza di poteri queste tensioni potrebbero sfociare in violente manifestazioni. Se a questo si accompagnasse una vittoria elettorale di un centro-destra a trazione di partiti sovranisti e populisti, ove l’adesione ai valori delle liberaldemocrazie è quantomeno dubbia, la nostra democrazia potrebbe rapidamente divenire un regime autoritario. Non il fascismo nella sua connotazione storica, ma una «democratura» con tratti persino più repressivi dell’Ungheria di Orbán: attentato all’indipendenza della magistratura (di cui si sono già visti i segni), e possibili limiti alla libertà di stampa. Si aggiunga una politica economica tutta da definire, ma che se modellata sulle richieste del nostro centro-destra (flat tax, condoni, difesa degli interessi corporativi lesi dalla proposta di legge sulla concorrenza, etc.) non fa certo ben sperare per le categorie più deboli del nostro sistema sociale.
L’esito futuro dipenderà molto dalle decisioni delle forze politiche in questi giorni cruciali. Da quanto resta dei 5 Stelle, che con Conte hanno acceso una crisi dissennata, non possiamo attenderci alcun aiuto a trovare una soluzione. Gli altri partiti sono divisi sulla politica sia europea che internazionale che invece storicamente ha rappresentato il collante tradizionale di tutti i governi di unità nazionale. È tuttavia da questi partiti che dobbiamo attenderci uno sforzo solidale per convincere il presidente Draghi a proseguire nella sua azione. Sarebbe grave che qualche partito non lo facesse. E altrettanto grave sarebbe se Draghi mantenesse il suo proposito di rendere definitive le sue dimissioni. Non a questo era stato chiamato da Mattarella; non per questo aveva ricevuto la fiducia degli italiani prima ancora di quella del Parlamento. Ho più volte, su queste colonne, confrontato i nostri avvenimenti attuali con l’esperienza del 19461947, quando furono compiute le scelte fondamentali che hanno guidato il cammino della nostra Repubblica. Ebbene, credo che De Gasperi oggi non si sarebbe dimesso.
”
Precedenti
In passato la risposta unitaria della classe politica ci ha tenuto al riparo da gravi rischi