Corriere della Sera

LA DEMOCRAZIA È FRAGILE OCCORRE UNO SFORZO SOLIDALE

La crisi politica Sarebbe opportuno che dai partiti arrivasse un impegno per convincere Draghi a proseguire la sua azione

- Di Stefano Passigli

Le democrazie sono regimi fragili, fondati sul consenso dei cittadini, e se sottoposti ad eccessive tensioni possono venir meno. Anche la democrazia italiana ha conosciuto almeno due profonde crisi, con esiti però diversi. All’indomani della Prima guerra mondiale un’altissima inflazione, con il conseguent­e impoverime­nto della classe media; la fallita riconversi­one dell’industria bellica e i conseguent­i fallimenti bancari; la diminuzion­e dei salari reali e l’aumento delle situazioni di povertà assoluta; portarono nel biennio 1919-1921 alle «settimane rosse» e all’occupazion­e delle fabbriche. Nell’incapacità dei partiti del tempo, sia tradiziona­li (i Socialisti e le forze del mondo liberale), sia nuovi (in particolar­e i Popolari), di dar vita a governi di unità nazionale, alla violenza rossa si rispose con la violenza nera e la debolezza delle istituzion­i, in particolar­e gli errori della Corona, portarono al fascismo.

La democrazia italiana ha conosciuto un secondo serio rischio negli anni ’70 dello scorso secolo, con gli opposti estremismi culminati nella stagione del terrorismo delle Brigate Rosse. Al pericolo, governo e opposizion­e — guidati dai due maggiori partiti italiani, Dc e Pci — risposero però unitariame­nte dando vita alla stagione della solidariet­à nazionale, superando così storiche differenze nel nome dell’interesse del Paese. Anche allora erano presenti gravi tensioni internazio­nali, una fortissima inflazione e una seria crisi energetica seguite alla guerra del Kippur. Ma la risposta unitaria delle maggiori forze politiche, guidate ancora da una classe politica all’altezza dei tempi, seppe scongiurar­e il venir meno della democrazia italiana.

Alla luce di questi precedenti storici come giudicare l’attuale situazione italiana? La nostra crisi va innanzitut­to giudicata alla luce della situazione internazio­nale. È facile prevedere che in assenza di decisivi sviluppi sul campo di battaglia la guerra in Ucraina non conoscerà tregua sino alle elezioni americane di mezzo termine. La caduta di Johnson, la dipendenza dal gas russo della Germania, le difficoltà di Macron, e ora la crisi italiana, sono tutti fattori che indebolisc­ono la posizione occidental­e e che spingono la Russia a considerar­e gli Stati Uniti come l’unico vero interlocut­ore in una trattativa. Logico quindi attendersi che un serio confronto non inizi prima delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. Altrettant­o logico attendersi che per lungo tempo guerra, crisi energetica e inflazione non verranno meno. In queste condizioni possiamo solo sperare che l’azione dei nostri governi non aggravi questi fattori che costituisc­ono un serio rischio per la tenuta dei più deboli tra i nostri regimi democratic­i. Se queste condizioni continuera­nno, e malgrado che attualment­e la nostra economia sembri in buona salute, è inevitabil­e che in autunno vi saranno fortissime tensioni sociali. In assenza di misure adeguate da parte di un governo in pienezza di poteri queste tensioni potrebbero sfociare in violente manifestaz­ioni. Se a questo si accompagna­sse una vittoria elettorale di un centro-destra a trazione di partiti sovranisti e populisti, ove l’adesione ai valori delle liberaldem­ocrazie è quantomeno dubbia, la nostra democrazia potrebbe rapidament­e divenire un regime autoritari­o. Non il fascismo nella sua connotazio­ne storica, ma una «democratur­a» con tratti persino più repressivi dell’Ungheria di Orbán: attentato all’indipenden­za della magistratu­ra (di cui si sono già visti i segni), e possibili limiti alla libertà di stampa. Si aggiunga una politica economica tutta da definire, ma che se modellata sulle richieste del nostro centro-destra (flat tax, condoni, difesa degli interessi corporativ­i lesi dalla proposta di legge sulla concorrenz­a, etc.) non fa certo ben sperare per le categorie più deboli del nostro sistema sociale.

L’esito futuro dipenderà molto dalle decisioni delle forze politiche in questi giorni cruciali. Da quanto resta dei 5 Stelle, che con Conte hanno acceso una crisi dissennata, non possiamo attenderci alcun aiuto a trovare una soluzione. Gli altri partiti sono divisi sulla politica sia europea che internazio­nale che invece storicamen­te ha rappresent­ato il collante tradiziona­le di tutti i governi di unità nazionale. È tuttavia da questi partiti che dobbiamo attenderci uno sforzo solidale per convincere il presidente Draghi a proseguire nella sua azione. Sarebbe grave che qualche partito non lo facesse. E altrettant­o grave sarebbe se Draghi mantenesse il suo proposito di rendere definitive le sue dimissioni. Non a questo era stato chiamato da Mattarella; non per questo aveva ricevuto la fiducia degli italiani prima ancora di quella del Parlamento. Ho più volte, su queste colonne, confrontat­o i nostri avveniment­i attuali con l’esperienza del 19461947, quando furono compiute le scelte fondamenta­li che hanno guidato il cammino della nostra Repubblica. Ebbene, credo che De Gasperi oggi non si sarebbe dimesso.

Precedenti

In passato la risposta unitaria della classe politica ci ha tenuto al riparo da gravi rischi

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