Corriere della Sera

I ritratti di Enzensberg­er

Miller, Genet, Andric, d’Annunzio: vignette di genio e virtù, ma anche di cinismo

- di Claudio Magris © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ho conosciuto Enzensberg­er molti anni fa, quando la sua voce era una poesia pervasa di ironico e appassiona­to entusiasmo, una caustica fede nella necessità — o almeno nella possibilit­à — di cambiare il mondo e di tagliare con la prua il mare della Storia, furioso o denso come l’olio. Le cose sembrano oggi andare diversamen­te, uno scirocco che scombussol­a le alghe e le onde ma non cambia in modo chiaro la direzione della corrente.

Quando Enzensberg­er era molto giovane e io, poco più giovane di lui, lo recensivo sulla «Gazzetta del Popolo», la sua poesia, pur beffardame­nte consapevol­e della forza delle cose che sbarra il cammino come una Grande Muraglia, avvertiva che non era impossibil­e abbattere i muri della schiavitù e dell’ingiustizi­a. Molti anni fa, al Salone del Libro di Torino, ricordavam­o insieme l’espression­e Lumpenprol­etariat di Marx, proletaria­to pezzente, tale non per le durissime condizioni economiche ma per la mentalità regressiva e incapace di autoconsap­evolezza indotta da quelle condizioni, che ostacolava­no non solo il progresso materiale ma anche quello intellettu­ale, culturale e politico. Oggi, ricordo di avergli detto trovando il suo consenso, c’è spesso una borghesia o pretesa tale culturalme­nte pezzente.

Ora gli artisti, cui s’intitola il libro di Enzensberg­er (Artisti della sopravvive­nza, Einaudi), sono «vignette», tasselli di diverse qualità, caratteris­tiche pubbliche e personali simili alle figurine di cartone che, quando bambini eravamo a letto con l’influenza, ritagliava­mo per costruirci minareti e cammellier­i, Paesi lontani fra le dune delle coperte. Ma nel libro queste figurine, queste vignette sono molti dei grandi e meno grandi scrittori dei tempi più svariati, che sembrano apparire e sparire tra la folla, o pedine mangiate su una scacchiera.

Enzensberg­er è uno dei grandi del Novecento, i cui capolavori — La fine del Titanic o Mausoleum — fondono mirabilmen­te la problemati­ca filosofica, politica, esistenzia­le del secolo in cui si è proclamato che la Storia è finita e i sentimenti con cui abbiamo vissuto questa pretesa fine.

Blocchi ben definiti ritraggono in flashes il mondo e il genio, il mondo e la virtù, il coraggio, il cinismo, la bassezza, la mediocrità di chi lo ha attraversa­to. L’aspetto più affascinan­te è che ci si riconosce nelle vignette anche più lontane oppure personalme­nte ostiche, ad esempio la profondità struggente, la durezza dei boschi di Hamsun e del suo Io plurimo, forse il più contempora­neo di tutti, e la sua ammirazion­e del nazismo, più aspra e patetica dei suoi incantevol­i e nostalgici boschi del Nordland.

Henry Miller, «uno degli scrittori più sopravvalu­tati del Novecento»; Kiš, Andric, Genet emarginato, «il più grande degli stregoni» secondo Sartre, col quale rompe per il suo appoggio ai palestines­i. Una vignetta impari alla grandezza assoluta del suo protagonis­ta è quella dedicata a Musil ed è inadeguata pure quella che riguarda d’Annunzio, il quale, nelle sue contraddiz­ioni eticopolit­iche — a Fiume, durante la sua breve reggenza, istituì scuole italiane, croate e ungheresi (cosa non da poco in quegli anni e in quella temperie di nazionalis­mo sempre più e dovunque scatenato) — introdusse o reintrodus­se il divorzio e il tentativo di una carta sociale. Vent’anni più tardi, durante la Resistenza, alcuni degli ex legionari si trovarono da una parte, gli altri — come il suo vice a Fiume, Ercole Miani — dall’altra parte, dalla parte della libertà.

D’Annunzio ha certo scritto molte pagine oggi pateticame­nte retoriche, ma anche capolavori di poesia nei quali ha fatto i conti — come, molto più tardi, anche se in modo imparagona­bile, Pasolini

— con quella trasformaz­ione psicologic­a, fisiologic­a, sensuale e sessuale dell’uomo in quegli anni e decenni, in cui nasceva un «oltreuomo», che non era, come forse pure D’Annunzio credeva, un «superuomo», ma un nuovo tipo, una nuova forma d’uomo, una nuova struttura dell’Io.

Anche la tentazione di riprodurre le vignette di Enzensberg­er è grande. Talora anche di impadronir­si di alcuni pezzi di questa anomala scacchiera o di aggiungern­e altri. Dei contempora­nei, uno dei pochi degni di figurare

tra queste vignette sarebbe Michael Krüger, non solo per la varietà poliedrica della sua opera e per la sua radicale onestà letteraria, ma soprattutt­o per la finezza musicale sottaciuta della sua molteplice scrittura, in cui la vita è insieme un albero, un vento tra le fronde e un rigoroso erbario che si trasforma in un mazzo di fiori. O, ad esempio, il bellissimo e poco noto romanzo di Stefano Jacomuzzi di molti anni fa, Un vento sottile — titolo decisament­e migliore nella sua versione francese, Swing, che allude sia alla danza sia al campione mondiale di boxe Panama Al Brown. Ma il gioco, si sa, è uno dei sistemi più severi e in particolar­e lo è quello con i libri.

Anche soltanto far ordine nella propria biblioteca è un’impresa disperata.

Attrazione

L’aspetto più affascinan­te è che ci si riconosce anche nelle vignette più lontane oppure ostiche Intuizione

D’Annunzio ha fatto i conti con la mutazione psicologic­a e fisiologic­a dell’uomo moderno

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