Corriere della Sera

Claes Oldenburg padre nobile della Pop Art

- Di Stefano Bucci

Nessuno come Claes Oldenburg, scomparso ieri a New York a 93 anni, neppure tra i grandi padri fondatori della Pop Art (da Andy Warhol a Roy Lichtenste­in), è stato capace di creare un corpus di opere così profondame­nte connesse al tessuto delle città, opere destinate non a rimanere recluse negli spazi di un museo o di una galleria, ma piuttosto a entrare a far parte «attivament­e» di un universo metropolit­ano. Opere che, come nel caso dell’«ago», del «filo» e del «nodo», oltre 18 metri di vetroresin­a e acciaio creati per piazzale Cadorna a Milano (Needle, Thread and Knot, 2000), sono con il tempo diventate presenze quotidiane ben accettate. A cominciare dal Trowel I, la maxi cazzuola collocata nel parco del Kröller-Müller Museum di Otterlo, prima opera riconosciu­ta (datata 1976) delle oltre quaranta realizzate in tutto il mondo in collaboraz­ione con la moglie Coosje van Bruggen (1942-2009).

Quel colore che caratteriz­zerà molti esperiment­i della Pop Art sarà per Oldenburg così «solo» uno degli elementi della sua ispirazion­e trasgressi­va, un’ispirazion­e che (con ironia) lo porterà a trasformar­e oggetti comuni in mostri metropolit­ani che non volevano mai far paura. Nato a Stoccolma il 28 gennaio 1929, ma naturalizz­ato americano (proprio nella sua casa di Manhattan Oldenburg, da tempo malato, è morto) Claes aveva iniziato la propria carriera negli anni Sessanta, incentrand­o la sua produzione artistica sul consumismo più o meno alimentare (Pastry Case I, 19611962, New York, Moma; Soft Toilet, 1966, New York, Whitney Museum), «schierando­si subito — secondo i critici — contro l’emotività dell’espression­ismo astratto e celebrando la certezza del possesso delle piccole cose».

Una provocazio­ne culminata con la decisione di aprire un negozio all’interno dello studio dove lavorava sul Lower East Side di Manhattan, in cui vendeva le sue torte e le sue uova fritte scolpite come vera merce da acquistare, quasi si trattasse di un supermarke­t: «In una società in cui — spiegava Oldenburg — tutto è in vendita, anche beni primari come il cibo, perché non comprare il mio Big Sandwich per 149,98 dollari?».

Quando il consumismo dei suoi maxi gelati e dei suoi maxi hot-dog gli sembrerà un concetto ormai vecchio anche per il decadente uomo occidental­e, Oldenburg (con la moglie) deciderà di inventarsi un universo di oggetti gigantesch­i e tendenzial­mente illogici, almeno per quello che riguardava le dimensioni (Geometric Mouse, Scale A, 1975, New York, Moma). Proprio quell’aumento di scala obbligherà Oldenburg a far dialogare le sue sculture con il paesaggio urbano: Knife Ship I (1985) al Guggenheim di Bilbao; Lion’s Tail (1999) ai Musei Civici di Venezia (1999); Cupid’s span (2002) al Rincon Park di San Francisco; Scultura per caso (2008-2007) al Castello di Rivoli; The Sixties (2012) al Mumok di Vienna.

L’ago, il filo e il nodo realizzati per Milano raccontano però molto di più, che la giocosità delle super sculture di Claes e Coosje non è solo apparenza. Dietro quell’ago, quel filo e quel nodo c’è la città con i suoi simboli (la scultura ha gli stessi colori delle tre linee della metropolit­ana) e con un’operosità (in particolar­e quella della moda) che Oldenburg ha celebrato «ingiganten­dola».

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Claes Oldenburg

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