Claes Oldenburg padre nobile della Pop Art
Nessuno come Claes Oldenburg, scomparso ieri a New York a 93 anni, neppure tra i grandi padri fondatori della Pop Art (da Andy Warhol a Roy Lichtenstein), è stato capace di creare un corpus di opere così profondamente connesse al tessuto delle città, opere destinate non a rimanere recluse negli spazi di un museo o di una galleria, ma piuttosto a entrare a far parte «attivamente» di un universo metropolitano. Opere che, come nel caso dell’«ago», del «filo» e del «nodo», oltre 18 metri di vetroresina e acciaio creati per piazzale Cadorna a Milano (Needle, Thread and Knot, 2000), sono con il tempo diventate presenze quotidiane ben accettate. A cominciare dal Trowel I, la maxi cazzuola collocata nel parco del Kröller-Müller Museum di Otterlo, prima opera riconosciuta (datata 1976) delle oltre quaranta realizzate in tutto il mondo in collaborazione con la moglie Coosje van Bruggen (1942-2009).
Quel colore che caratterizzerà molti esperimenti della Pop Art sarà per Oldenburg così «solo» uno degli elementi della sua ispirazione trasgressiva, un’ispirazione che (con ironia) lo porterà a trasformare oggetti comuni in mostri metropolitani che non volevano mai far paura. Nato a Stoccolma il 28 gennaio 1929, ma naturalizzato americano (proprio nella sua casa di Manhattan Oldenburg, da tempo malato, è morto) Claes aveva iniziato la propria carriera negli anni Sessanta, incentrando la sua produzione artistica sul consumismo più o meno alimentare (Pastry Case I, 19611962, New York, Moma; Soft Toilet, 1966, New York, Whitney Museum), «schierandosi subito — secondo i critici — contro l’emotività dell’espressionismo astratto e celebrando la certezza del possesso delle piccole cose».
Una provocazione culminata con la decisione di aprire un negozio all’interno dello studio dove lavorava sul Lower East Side di Manhattan, in cui vendeva le sue torte e le sue uova fritte scolpite come vera merce da acquistare, quasi si trattasse di un supermarket: «In una società in cui — spiegava Oldenburg — tutto è in vendita, anche beni primari come il cibo, perché non comprare il mio Big Sandwich per 149,98 dollari?».
Quando il consumismo dei suoi maxi gelati e dei suoi maxi hot-dog gli sembrerà un concetto ormai vecchio anche per il decadente uomo occidentale, Oldenburg (con la moglie) deciderà di inventarsi un universo di oggetti giganteschi e tendenzialmente illogici, almeno per quello che riguardava le dimensioni (Geometric Mouse, Scale A, 1975, New York, Moma). Proprio quell’aumento di scala obbligherà Oldenburg a far dialogare le sue sculture con il paesaggio urbano: Knife Ship I (1985) al Guggenheim di Bilbao; Lion’s Tail (1999) ai Musei Civici di Venezia (1999); Cupid’s span (2002) al Rincon Park di San Francisco; Scultura per caso (2008-2007) al Castello di Rivoli; The Sixties (2012) al Mumok di Vienna.
L’ago, il filo e il nodo realizzati per Milano raccontano però molto di più, che la giocosità delle super sculture di Claes e Coosje non è solo apparenza. Dietro quell’ago, quel filo e quel nodo c’è la città con i suoi simboli (la scultura ha gli stessi colori delle tre linee della metropolitana) e con un’operosità (in particolare quella della moda) che Oldenburg ha celebrato «ingigantendola».