«Nella favola di una trans il ritratto di una generazione»
Il regista Porter: film contro i pregiudizi, gli adulti imparino dai giovani
Una ragazza trans, un ragazzo che si innamora di lei, una scuola dove il pregiudizio è la materia preferita di molti studenti: alla fine vincerà l’amore? Senza togliere la sorpresa, Tutto è possibile è una storia di formazione che racconta la Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012), la generazione dell’autodeterminazione, dell’accoglienza, della fluidità.
Disponibile su Prime Video da venerdì, Tutto è possibile è diretto da Billy Porter. Nato a Pittsburgh 52 anni fa, gay dichiarato, sposato, Porter ha raccontato di essere anche sieropositivo solo poco tempo fa.
Famiglia religiosa all’ennesima potenza, è cresciuto negli ambienti della chiesa pentecostale dove essere sieropositivo veniva considerato una punizione di Dio. «Per molto tempo tutti quelli che avevano bisogno di sapere, lo sapevano, tranne mia madre — aveva raccontato all’Hollywood Reporter —. Stavo cercando di avere una vita e una carriera, e non ero sicuro di poterlo fare se le persone sbagliate lo avessero scoperto. Sarebbe solo un altro modo per discriminarmi in una professione già discriminatoria. Quindi ho cercato di pensarci il meno possibile. Ho provato a bloccarlo. Ma la quarantena mi ha insegnato molto». In terapia da più di 20 anni, nel suo percorso ha anche dovuto affrontare gli abusi sessuali subiti da suo patrigno («dai 7 ai 12 anni»). Porter ha recitato principalmente in teatro, lavorando in numerosi musical e opere di prosa, ma la svolta è arrivata nel 2018 quando ha ottenuto il ruolo di protagonista nella serie Pose, grazie al quale ha vinto anche un Emmy Award.
Con una storia personale così, è evidente che certi temi — la discriminazione e il razzismo — gli stiano più a cuore di altri. «Tutto è possibile è una favola aspirazionale — racconta ora Porter —, rappresenta quello che il mondo potrebbe e dovrebbe essere, è un film che racconta il rispetto che dobbiamo avere per ogni essere umano e che mostra quello che l’amore incondizionato dovrebbe essere. Credo che di questi tempi sia un film necessario, che infonde ispirazione e speranza, che può educare e intrattenere allo stesso tempo. Racconta la storia di due giovani che sono a terra, ma sono pieni di sogni, due anime gemelle che fortunatamente si riconoscono in un luogo come la scuola che non sempre facilita questo tipo di connessioni».
Alla fine ne esce un affresco della Gen Z: «Gli adulti in questo caso devono guardare, ascoltare e imparare. Il progresso rispetto al tempo passato c’è stato e non dobbiamo tornare indietro».
L’Academy di Hollywood ha stabilito nuovi requisiti nella corsa agli Oscar a partire dal 2024, i film devono favorire l’equa rappresentanza di origine, genere, orientamento sessuale e persone con disabilità. Non rischia di essere questa, a sua volta, una gabbia? «Non penso che intendano dire che ogni film debba rientrare in queste categorie, ma bisogna creare uno spazio dove questi nuovi gruppi di persone che sono state ignorate nel passato vengano invece rappresentate. Dobbiamo essere consapevoli che nelle storie che creiamo dobbiamo immaginare anche argomenti diversi e non solo trame con maschi eterosessuali bianchi. Finalmente anche gli Oscar hanno aperto uno spazio di discussione per le minoranze. No, non è una gabbia».