Mondiale garbato e senza pienone l’impero Usa colpisce ancora Velocità e lanci, l’oro ritrovato
La tripletta americana sui 100 segna il cambio di passo nella sfida con i Caraibi
Ryan Crouser giocava all’Olimpiade con papà Mitch e i fratelli nella fattoria di Boring, Oregon: famiglia di lanciatori, chi scaglia più lontano il ciocco di legno ha diritto all’hamburger più grasso. Grant Holloway al college era ricevitore e del football, negli ostacoli, si porta dietro l’armatura di muscoli. Brooke Andersen protestò sul podio dei Giochi Panamericani contro il governo Trump, e con quello stesso coraggio ha preso a martellate il mondo mentre Katie Nageotte metteva il cielo di Eugene all’asta. Quattro ori in un pomeriggio, triplete nel peso e sarebbe stato dominio anche nei 110 hs se un maledetto millesimo di secondo (tempo di reazione 0.099) non avesse messo fuori gara Devon Allen da Phoenix, uno dei favoriti, facendo gridare allo scandalo il totem Michael Johnson: «Un furto legalizzato! L’hanno squalificato per essere stato il più veloce!».
L’impero Usa colpisce ancora nello stadio dei sogni, che però rimane tiepido: mai il pienone, entusiasmo controllato, mancano i pop corn del tennis a Flushing, le coreografie kitsch della Nba, l’eccitazione della Ncaa e del march madness. Eppure, a Hayward Field, i padroni di casa fanno il loro dovere: Fred Kerley, abbandonato dal padre galeotto e dalla madre prostituta, cresciuto dalla zia Virginia («La seconda madre che mi ha trasformato in un uomo») insieme a 13 tra fratelli e cugini, ha sbranato i 100 (in contumacia di Marcell Jacobs, certo, ma gli assenti non hanno mai ragione) con una tristezza karmica in netto contrasto con il significato dell’impresa. La tripletta (Kerley-Bracy-Bromell) con cui gli Usa si riprendono la velocità segna il cambio di passo nell’eterna sfida con i Caraibi. Noah Lyles ci riproverà nei 200 di Filippo Tortu, il mezzo giro di pista che ha in rampa di lancio il talento straripante di Erriyon Knighton, il 18enne della Florida capace di correre in 19”49, a 30 centesimi dalla sentenza di Usain Bolt. E dove non arrivano risultati, ci pensa la memoria acritica di un passato glorioso a metterci una pezza. Cancellata Marion Jones, colpevole di falsa testimonianza che qui è un reato più grave del doping, è dai tempi di Florence Griffith e Gail Devers che gli Stati Uniti non dominano lo sprint. Ma nonostante i tentativi e un’eccezionale longevità, nemmeno al quinto oro iridato nei 100 (con le incursioni di Carmelita Jeter a Daegu e Tori Bowie a Londra) la giamaicana Shelly Ann Fraser, nel frattempo moglie di Jason Pryce e mamma di Zion, è riuscita a scalfire il primato del mondo di Flo Jo, quel 10”49 ventoso (ma mai registrato come tale) e discusso che dura dai quarti di finale dei trials americani, Indianapolis 16 luglio ‘88, 34 anni fa.
Delle sue origini da parrucchiera a Kingston la Fraser, 36 anni a dicembre, ha mantenuto la passione per capelli finti e extension colorate: viola in batteria, verdeoro in finale. Il monopolio giamaicano nei 100 qui al Mondiale — Fraser oro (10”67), Jackson argento (10”73) e Thompson, regina di Tokyo e seconda donna più veloce del mondo in 10”54 (meeting di Eugene 2021), solo bronzo (10”81) — non ha guastato la festa made in Usa. Nettamente fuori dal podio Hobbs e Jefferson, gli Stati Uniti aspettano che nasca un’altra Flo Jo, che si reincarni nello sprint corto lo spirito della pensionanda Allyson Felix e che arrivi il momento dei 400 hs, l’esercizio da equilibrista in cui eccelle Sydney McLaughlin, 22 anni, la primatista del mondo (51”41) pronta a nuove magie.
È, fin qui, un Mondiale garbato e non esagerato, la pista è velocissima però i record non arrivano, l’Africa si puntella con maratone e endurance (il progetto dei velocisti non ha sfondato), la Polonia non meraviglia più, la Cina aspetta le marce, il Perù rompe il ghiaccio. Mondo che cambia, Usa permettendo.