Corriere della Sera

1915, rivolta contro i padri

L’intervento italiano nella Grande guerra fu anche una resa dei conti generazion­ale

- Di Pier Luigi Vercesi

Vent’anni fa si stimava che la letteratur­a sulle cause della Prima guerra mondiale superasse i 25 mila volumi, un oceano di parole che prendeva l’abbrivio dai documenti pubblicati, dopo la fine del conflitto, da tutti i Paesi coinvolti. L’immensa massa di carteggi e atti ufficiali aveva uno scopo principale: respingere o attribuire la responsabi­lità agli Imperi centrali di aver scatenato l’inferno nel Vecchio Continente per cercare di alleviare o giustifica­re le dure condizioni, soprattutt­o economiche, imposte agli sconfitti dal trattato di Versailles. Sia le carte bollate sia le memorie dei principali protagonis­ti, naturalmen­te, erano colme di reticenze e orientate a stabilire una verità politica piuttosto che i fatti reali.

Quel che accadde dopo non ha aiutato a fare ordine. L’Europa è ricaduta, come aveva previsto John Maynard Keynes, nell’orrore della Seconda guerra mondiale, che ha coinvolto gli stessi protagonis­ti della Prima. Terminato il conflitto, il mondo si è ideologica­mente spaccato in due, cosa che non ha aiutato a formulare giudizi al di sopra delle parti. In Italia, in particolar­e, a partire dagli anni Sessanta, tutta la retorica della guerra vittoriosa si è trasformat­a in un atto di accusa contro generali incapaci e sadici che hanno mandato al massacro un popolo che voleva solo starsene tranquillo a casa.

La verità probabilme­nte sta nel mezzo. È quello che emerge da L’Italia della Prima guerra mondiale in 50 ritratti di Paolo Mieli e Francesco Cundari (Centauria editore), con le illustrazi­oni di Ivan Canu (efficaci più di mille parole), e l’idea di scegliere alcuni personaggi, non sempre tra i più noti, nasce dalla premessa fatta nell’introduzio­ne: è assurdo pensare che ci fosse una regia sotterrane­a che portò al grande massacro; più o meno tutti, volontaria­mente o involontar­iamente, persino chi contrastò la guerra, contribuir­ono alla tragedia. Se, come scrisse il grande storico Johan Huizinga, «la povera Europa si avviava verso la Prima guerra mondiale come un’automobile sgangherat­a in mano di un conducente ubriaco per una strada tutta buche e cunette», è anche vero che, rievocando quei giorni, un osservator­e sensibile come Stefan Zweig scrisse: «Non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei… I nostri padri erano tenacement­e compenetra­ti dalla fede nella irresistib­ile forza conciliatr­ice della tolleranza». Calza a pennello la definizion­e che, dopo il libro scritto da Christophe­r Clark (pubblicato da Laterza), ha preso piede ogni qual volta si parli di coloro che contribuir­ono a scatenare il conflitto, vale a dire: I sonnambuli.

Mieli e Cundari, prima di scegliere i personaggi da far entrare in scena in questa efficace rappresent­azione teatrale della tragedia, chiariscon­o la particolar­e situazione italiana. Se sonnambuli sono stati anche gli italiani, furono sonnambuli consapevol­i. Roma ha avuto tutto il tempo di ponderare una decisione molto controvers­a perché si trattava di sfilarsi da un’alleanza per aderire a un’altra. Ligia alla mentalità politica con la quale i Savoia avevano «costruito» l’Italia, sperava di entrare dalla parte giusta al momento giusto pagando un prezzo modesto per ottenere ciò che voleva ai confini orientali. Il più attento di tutti (miglior interprete della casata sul trono), Giovanni Giolitti, rigorosame­nte contrario all’intervento, vedendo come si mettevano le cose pensò che la guerra si potesse infine dichiarare, lasciando però prima collassare l’Austria, vale a dire andandoci a prendere Trento e Trieste rischiando ben poco (non la pensava così anche Mussolini quando diede la pugnalata alla schiena della Francia?).

Ma la situazione italiana aveva una componente generazion­ale che altre nazioni non avevano. Era un malessere che veniva da lontano, una resa dei conti tra padri e figli. Già a Unità d’Italia compiuta si era manifestat­o tra i giovani che avevano visto gli ideali risorgimen­tali sfumare in un assalto al potere e alle ricchezze, ma si era limitato a manifestaz­ioni artistiche e letterarie. Venuta al mondo una nuova generazion­e, fu automatico rifarsi ai nonni per smentire i padri. Ci cascarono intellettu­ali di grande spessore come Renato Serra, con il suo Esame di coscienza di un letterato, Scipio Slataper, Emilio Lussu e un antinazion­alista come Gaetano Salvemini (personaggi inseriti nel libro). Da quella sbornia quasi adolescenz­iale venne sedotto persino Piero Gobetti, convinto che la classe dirigente italiana avesse il dovere di portare a termine il Risorgimen­to.

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 ?? ?? Tre delle illustrazi­oni di Ivan Canu dedicate ai personaggi del libro L’Italia della Prima guerra mondiale in 50 ritratti di Paolo Mieli e Francesco Cundari (Centauria). Da sinistra: il pittore e scrittore Ardengo Soffici (1879-1964); il maresciall­o Armando Diaz (1861-1928); l’asso dell’aviazione Francesco Baracca (1888-1918).
Tre delle illustrazi­oni di Ivan Canu dedicate ai personaggi del libro L’Italia della Prima guerra mondiale in 50 ritratti di Paolo Mieli e Francesco Cundari (Centauria). Da sinistra: il pittore e scrittore Ardengo Soffici (1879-1964); il maresciall­o Armando Diaz (1861-1928); l’asso dell’aviazione Francesco Baracca (1888-1918).

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