Telefonate, vertici e mosse concordate Lega e azzurri, l’asse per il blitz
Il capo leghista accolto dagli applausi dei suoi parlamentari E in serata Berlusconi parla già di un programma in 20 punti
MILANO Il centrodestra canta vittoria e considera la mancata fiducia a Mario Draghi un capolavoro di strategia perché Lega e Forza Italia sono rimaste unite e nella corsa al voto anticipato si sono allineate a Fratelli d’Italia, ritrovando l’unità che era andata in frantumi ai tempi del Quirinale. E poco rileva, ai leader della coalizione, se lungo il cammino si sono consumate rotture con i centristi (Giovanni Toti è stato durissimo con i partner) e soprattutto tra gli azzurri si registra l’imminente addio della ministra Mariastella Gelmini.
Matteo Salvini e Silvio Berlusconi fin dalla scorsa settimana, quando il premier annunciò di volersi dimettere, si sono tenuti in stretto contatto. «Tra noi c’è piena sintonia» si è ripetuto più volte. E ciascuno dei due leader a sua volta ha mantenuto costantemente informati i vertici dei rispettivi partiti. La decisione di andare alla rottura, maturata già allora, è andata via via consolidandosi.
Martedì c’è stata l’accelerazione imposta dal colloquio tra il segretario del Pd Enrico Letta e Draghi. Il «centrodestra di governo» l’ha presa molto male, esprimendo «sconcerto» e costringendo il premier a disporsi ad un incontro anche con la coalizione. A Palazzo Chigi il confronto è stato molto franco. «Noi siamo disponibili ad un governo Draghi, ma non ci deve più essere il M5S» è stata la posizione espressa al presidente del Consiglio che di suo si è limitato ad abbozzare.
Ieri mattina il discorso di Draghi nell’Aula di Palazzo Madama ha allargato il solco. Pur se le parole più dure sono state rivolte nei confronti delle posizioni della Lega anche Forza Italia si è sentita messa sotto accusa. Ed è scattata la reazione. In Aula gli interventi del capogruppo leghista Massimiliano Romeo e dell’azzurro Maurizio Gasparri sono stati molto severi con il premier. Poi il vertice a Villa Grande dopo pranzo, a casa Berlusconi, con gli stati maggiori dei partiti. E l’annuncio: «I senatori del centrodestra di governo voteranno soltanto la propria risoluzione, che chiede un “patto” per un nuovo governo, profondamente rinnovato, guidato ancora da Mario Draghi e senza il M5S».
Prima che la presa di posizione diventasse pubblica, il leader leghista ha informato Mattarella e subito dopo ha telefonato a Draghi. Dal punto di vista del centrodestra, era l’ultimo tentativo, formalizzato con una risoluzione ad hoc, per verificare se fosse possibile continuare l’esperienza, seppur con un diverso assetto. Lo showdown è avvenuto in Aula. La replica del premier, secca e puntuta, è stata considerata irricevibile. La scelta di mettere la fiducia
sulla risoluzione presentata da Pier Ferdinando Casini è invece stata presa come l’ultima goccia. I senatori di Lega e FI non hanno partecipato al voto, limitandosi a guardare il naufragio del governo di cui facevano ancora parte. La conta ha certificato la fine dell’esecutivo. E Salvini, accolto dagli applausi dei suoi parlamentari, ha distillato la sua verità: «Draghi e l’Italia sono state vittime, da giorni, della follia dei 5 Stelle e dei giochini di potere del Pd». A tarda sera, a Villa Grande, Berlusconi annuncia un programma per vincere le elezioni in 20 punti.