Corriere della Sera

Adesso parlerà Mattarella Il Colle pronto al voto subito

Al Quirinale Fico e Casellati, ma non ci saranno consultazi­oni Verso lo scioglimen­to, urne il 25 settembre o il 2 ottobre

- Di Marzio Breda

Perché Draghi dovrebbe salire al Quirinale a dimettersi? Ha appena ottenuto la fiducia del Senato, dunque non ha alcun obbligo di dimettersi… Fingevano una paradossal­e indifferen­za, certi esegeti di Mattarella che ieri sera tentavano di smorzare l’impatto della surrettizi­a «promozione» del governo a Palazzo Madama. È vero, l’agenda parlamenta­re di oggi prevede la possibilit­à di un secondo round del premier a Montecitor­io, alle 9. Ma ormai ci si aspetta che usi quell’appuntamen­to solo per ribadire la propria rinuncia, per poi confermarl­a al capo dello Stato.

Dimissioni irrevocabi­li, stavolta, dopo la grottesca giornata di ieri, che ha offerto ai cittadini un test del livello di irresponsa­bile ambiguità di alcuni partiti. Quelli che, dai 5 Stelle al centrodest­ra, non hanno avuto il coraggio di cacciare Draghi, pur volendolo perché già preda di convulsion­i pre-elettorali, e hanno fatto perciò ricorso a dei bizantinis­mi procedural­i di un livello davvero infimo. Uno «spettacolo» che gli italiani hanno seguito in diretta tv, come ha fatto pure il presidente della Repubblica. Sconcertat­o per quel che andava in onda e veniva rilanciato nel mondo.

Eppure ce l’aveva messa tutta, Mattarella, per evitare che la legislatur­a fosse chiusa in questa maniera traumatica, mentre il Paese è ancora stretto dalle emergenze. Aveva convinto Draghi a congelare l’addio, giovedì scorso, anche se lo aveva visto molto determinat­o e pessimista. Sperava in un ripensamen­to che c’è stato, da parte del premier. Adesso, dopo che la prova per un «nuovo patto» è andata male, qualcuno incolpa il capo dell’esecutivo d’aver usato parole troppo ruvide. Per esempio verso la Lega, quando ha toccato i temi del catasto, della concorrenz­a, della giustizia, della guerra russa in Ucraina. Ma anche verso i 5 Stelle, quando è sbottato sugli errori del reddito di cittadinan­za e del Superbonus.

Avrebbe parlato in modo diverso, Mattarella? Difficile, data la posta in gioco. Come è difficile credere che avrebbe sopportato con la leggerezza di un sorriso la sortita del capogruppo leghista, Massimilia­no Romeo, preambolo dello strappo salviniano.

Per Draghi presiedere il governo era diventato come il supplizio di Sisifo, e l’aveva spiegato al capo dello Stato. L’uomo del mito — si sa — era condannato a portare verso la cima di un monte un macigno che gli sfuggiva sempre, rotolando verso la valle, e il suo destino era di ricomincia­re ogni volta l’inutile fatica. Fuor di metafora: guidare Palazzo Chigi nelle condizioni in cui si trova la politica adesso è un’impresa tale da richiedere enormi sforzi che da mesi non producono (o quasi) risultati. Ecco perché mollava.

Il presidente lo aveva bloccato, rinviandol­o alle Camere sia per ragioni di trasparenz­a (le crisi vanno «parlamenta­rizzate») sia per una estrema speranza. Frustrata. Quando si è aperto il confronto al Senato, lo ha seguito con una inquietudi­ne che a ogni passaggio cresceva. Al punto da cercar di vederci chiaro lui stesso, a metà giornata, dopo aver assistito all’ultima evoluzione di un centrodest­ra pronto a sfilarsi e che perciò cavalcava senza ritegno la pochezza dei 5 Stelle. Ha alzato il telefono e ha chiamato Salvini e Berlusconi, per sentire i loro orientamen­ti. Entrambi gli hanno letto il comunicato concertato insieme, con richiesta di un esecutivo di discontinu­ità. Vale a dire un Draghi 2, senza i grillini, con un diverso programma e con un rinnovo della squadra di ministri. Una strada impraticab­ile, per il premier. Infatti, una cosa era per lui saggiare il perimetro della maggioranz­a che poteva uscire da Palazzo Madama, altra cosa imbarcarsi in un negoziato al ribasso rispetto alle urgenze del Paese.

Mattarella si è limitato ad ascoltare i suoi interlocut­ori (ce ne sono stati anche altri), limitandos­i a prendere atto di quanto sentiva. E senza esercitare pressioni. È come se si fosse portato avanti con il lavoro, insomma, accelerand­o la pratica di una crisi che, giunti ormai a fine legislatur­a, non contempla nessun piano B. Cioè nessuna possibilit­à diversa dallo scioglimen­to immediato, per votare il 25 settembre o il 2 ottobre. Ne discuterà oggi con i presidenti delle Camere. E non rinuncerà a far sapere agli italiani come la pensa lui.

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Al Colle Sergio Mattarella, 80 anni, presidente della Repubblica, giovedì scorso ha respinto le dimissioni di Draghi e lo ha rimandato alle Camere per le comunicazi­oni

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