Corriere della Sera

«Un caldo mai provato anche sul Nanga Parbat Ho rinunciato alla vetta, voglio morire anziano»

L’alpinista Confortola: al campo base c’erano i fiori

- di Barbara Gerosa

Ho visto i luoghi a me più cari cambiare totalmente in poco tempo Dobbiamo adeguarci ai mutamenti climatici: controllar­e le previsioni meteo, attrezzarc­i in modo adeguato, saper anche rinunciare quando condizioni mai viste lo richiedono

«Èsuccesso di notte. Ero al campo due, a seimila metri di quota. A un certo punto ho dovuto aprire la cerniera del sacco a pelo e tirare fuori le gambe perché avevo caldo. È la prima volta in 22 spedizioni che mi accade qualcosa di simile. Ancora quasi non riesco a crederci». Marco Confortola, 51 anni, il fortissimo alpinista di Valfurva che a inizio maggio aveva conquistat­o la sua dodicesima vetta oltre gli ottomila metri (il Kangchenju­nga al confine tra Nepal e Sikkim, all’estremo est della catena himalayana) questa volta si è dovuto fermare. Sabato scorso è rientrato dal Pakistan rinunciand­o alla cima del Nanga Parbat, 8126 metri di quota nel cuore del Kashmir.

Ha scritto una lettera al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che poi l’ha pubblicata sui social. Un appello alla prudenza a poche settimane dalla tragedia della Marmolada.

«Volevo lanciare un messaggio: prima di tutto la vita e poi il resto. Da alpinista, guida alpina e tecnico dell’elisoccors­o di Areu, il servizio di emergenza e urgenza lombardo, ci tenevo a dire che la montagna va vissuta in sicurezza e con tanto buon senso, inutile sfidarla e morire. Bisogna sapersi fermare. Un guerriero che torna vivo da una battaglia è buono per riprendere a combattere».

Lei è sopravviss­uto nel 2008 alla tragedia del K2 quando per il distacco di un seracco persero la vita undici alpinisti. Ha subito l’amputazion­e di parte dei piedi e da allora alle estremità ha sempre freddo.

«Eppure in Pakistan sentivo caldo. Lo zero termico era a 6.500 metri di quota, al campo base (4.200) c’erano le margherite. È la prima volta in tanti anni. Una situazione anomala e assurda. Quando ho visto staccarsi una valanga ho capito che era il momento di tornare indietro».

Uno stop, non una sconfitta. Un appello alla prudenza. Non a rinunciare alla montagna.

«La fusione dei ghiacciai è in corso da decenni. Ho visto con tristezza il volto dei luoghi a me più cari cambiare completame­nte in poco tempo: il ghiacciaio dei Forni, meta delle prime ascensioni con mio padre, assottigli­arsi sempre di più. Si sta sciogliend­o anche il permafrost, il suolo solido congelato, innescando frane e colate detritiche. Ma i rifugi sono aperti ed è giusto così. Io continuerò a portare le persone sul Cevedale per il battesimo del ghiaccio, al momento non ci sono pericoli. Siamo noi che dobbiamo adeguarci ai cambiament­i climatici. Controllar­e le previsioni del tempo, attrezzars­i in modo corretto, evitare pendenze troppo esposte e affidarsi agli esperti. E sì, qualche volta saper anche rinunciare quando condizioni mai viste prima lo richiedono».

Sui social prima di lasciare il Pakistan ha scritto un post dicendo di aver deciso di rispettare gli avvertimen­ti ricevuti. Nella lettera inviata a Fontana, con la foto della bandiera che avrebbe voluto portare in vetta, ha ricordato suo nonno.

«È scomparso a più di novant’anni. Mi ha sempre insegnato che un buon alpinista deve morire da vecchio nel proprio letto».

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Scalatore Marco Confortola durante la spedizione sul Nanga Parbat, in Pakistan

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