Corriere della Sera

IL DEBITO E LE CONSEGUENZ­E DI VOLERNE IGNORARE I COSTI

La stima L’Ufficio parlamenta­re di bilancio calcola che un aumento di un punto percentual­e dei rendimenti, dopo tre anni, assorbe in interessi dieci miliardi di spesa pubblica in più

- Di Federico Fubini

Vi siete mai chiesti cosa può esserci di tanto diverso fra l’Italia e la Spagna? Qualcosa deve pur esserci, perché per il governo di Roma — dunque in proporzion­e anche per le famiglie e le imprese italiane — trovare credito costa un terzo di più. Era già così prima della crisi di governo e nel lungo periodo sono differenze enormi: come partecipar­e a una gara di fondo con la zavorra ai piedi oppure senza. Lo spread fra l’Italia e la Spagna, la differenza nei rendimenti dei titoli di Stato decennali, è di poco meno dell’uno per cento a favore di Madrid: non troppo diversa a quella che pure si è avuta fra l’Italia e la Germania in certi momenti degli ultimi anni. Dunque una differenza fra i due grandi Paesi dell’Europa del Sud c’è.

Già, ma quale? Perché non è facile trovarla nei dati. È vero che la Spagna ha un debito pubblico più basso (115% del prodotto lordo contro 150% circa), ma ha un debito privato più alto e infatti ha anche un debito lievemente più alto se si sommano lo Stato, le famiglie e le imprese. Ed è vero anche che la Spagna ha grandi imprese globali mentre l’Italia le sta perdendo, ma ogni occupato in Italia genera 68 mila euro di prodotto lordo all’anno e in Spagna 57 mila. I tassi di crescita negli ultimi tre anni poi sono molto simili, così come lo è il deficit pubblico. E se lo choc dell’energia sta portando in profondo rosso la bilancia dei conti correnti dell’Italia con il resto del mondo — per la prima volta dalla crisi dell’euro — così è anche per la Spagna.

Allora perché tutta questa differenza, per cui noi dobbiamo pagare un terzo di più per finanziarc­i? Forse se si guarda alle grandezze economiche, si sta cercando dalla parte sbagliata. Forse la differenza che fa ritenere l’Italia meno affidabile della Spagna non è nelle condizioni concrete dei due Paesi, ma nella temperie che finisce sempre per esprimersi nella politica. Il populismo è più presente in Italia: non solo nei sondaggi o in parlamento (come si è visto anche nelle ultime ore), ma nella società, nel costume, nel linguaggio. E la forza perdurante del populismo nell’offerta politica fa sì che ai finanziato­ri dei mercati internazio­nali o anche ai piccoli risparmiat­ori locali appaia più difficile capire la direzione dell’Italia che quella della Spagna dopo le prossime elezioni: gli investitor­i applicano un sovraccost­o sul credito per questo. E se ciò spiega lo spread con Madrid, non spiega cosa sia il populismo in sé nel governo dell’economia e cosa lo renda tale.

Avanziamo una definizion­e possibile: populismo in economia è il non sapere e non voler sapere, non informarsi, non sforzarsi di capire il contesto attorno a noi e le conseguenz­e delle nostre azioni dopo di noi. È promettere e agire a prescinder­e, pur di suscitare un applauso qui e ora. Se questa definizion­e ha un senso, allora l’Italia attraversa in questi giorni un momento di intenso populismo perché il governo del Paese, oggi e in futuro, viene visto da troppi in parlamento e nella società in modo del tutto slegato dal significat­o della giornata di oggi. Eppure proprio la data di oggi, 21 luglio, potrebbe segnare l’agenda dell’economia italiana ed europea per parecchio tempo a venire. Oggi (o comunque nei prossimi giorni) dopo si capirà se di quanto davvero la russa Gazprom decide di bloccare le forniture di gas via Nord Stream, proprio mentre noi europei cerchiamo di fare scorta per il prossimo inverno. E sempre oggi si capirà quanto la Banca centrale europea alzerà i tassi e in cosa consiste il «meccanismo» che dovrebbe proteggere l’Italia, ora che il costo del denaro salirà.

Lo vedremo nelle prossime ore, ma qualcosa si intravede già: cambia la stagione delle politiche pubbliche e, dopo la fase di deficit spending inaugurata con la pandemia, torna il vincolo di bilancio. Torna per due ragioni. In primo luogo perché, con l’inflazione e i tassi, salgono anche i rendimenti dei titoli del nostro debito pubblico da 2.700 miliardi di euro. Titoli per 500 miliardi sono da rinnovare o emettere ex novo a rendimenti più alti nel prossimo anno e mezzo; titoli per 800 miliardi entro il 2024. L’Ufficio parlamenta­re di bilancio stima che un aumento di un punto percentual­e dei rendimenti, dopo tre anni, assorbe in interessi sul debito dieci miliardi di spesa pubblica in più. E l’aumento è già di oltre un punto, dunque è probabile che andranno trovate economie in altre parti del bilancio: più entrate dalle tasse o meno spese, oppure un mix di entrambe. L’altra ragione per cui il vincolo di bilancio torna prima del previsto è che la Bce si dirà pronta a allargare la sua rete di sicurezza — il «meccanismo» antispread — solo se il Paese beneficiar­io riduce il deficit. Se l’Italia non lo facesse, la prospettiv­a della protezione da parte della Bce svanirebbe e noi ne pagheremmo immediatam­ente le conseguenz­e sui mercati. Proprio per questo l’aprirsi di una crisi di governo adesso non può che complicare la situazione sia a Francofort­e che a Roma. Per la Bce aiutare un paese senza governo nel pieno delle sue funzioni diventa molto più difficile.

Populismo è rifiutarsi di vedere tutto questo, non capirlo, non considerar­lo. In concreto, populismo è per esempio pretendere di ridurre il cuneo fiscale — il costo del lavoro che non va in busta paga — senza spiegare dove si trovano le risorse per farlo. L’opposto del populismo è invece cercare quelle risorse per tagliare, giustament­e, il cuneo. E forse la vera linea di faglia che oggi divide il Paese passa proprio di qui.

Il confronto con la Spagna La differenza non è nelle condizioni concrete, ma nella temperie che finisce per esprimersi nella politica

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy