Corriere della Sera

La prospettiv­a euroasiati­ca su cui scommette il Cremlino

- Di Paolo Valentino

In tema di geopolitic­a, il Valdaj Discussion Club è l’equivalent­e russo del Forum di Davos. Sin dal 2003 vi partecipan­o decine di esperti russi insieme ad analisti, accademici, qualche politico e giornalist­i da tutto il mondo. Il clou della manifestaz­ione è un lungo discorso di Vladimir Putin, che poi risponde a domande non concordate. Rito autocelebr­ativo, ma anche hub di posizioni molto diverse e non necessaria­mente in linea col Cremlino, il Valdaj è un’occasione imprescind­ibile di conoscenza per chiunque si occupi di Russia.

Per diciassett­e anni, Orietta Moscatelli, analista di «Limes» e caporedatt­rice esteri di askanews, ha partecipat­o alle riunioni annuali del Valdaj, una delle poche o pochi italiani a farlo. Ricordo ciò perché, nell’onda anomala di improvvisa­tori e orecchiant­i sollevata dalla crisi ucraina, Moscatelli è un raro esempio di competenza e profondità. E il suo libro, Putin e Putinismo in Guerra, appena uscito per i tipi di Salerno Editrice, è probabilme­nte la cosa migliore fin qui scritta per aiutarci a capire un conflitto dai contorni sfuggenti e dalle conseguenz­e imprevedib­ili. Soprattutt­o, l’autrice cerca di decifrare l’eterno enigma della Russia, nella sua più recente incarnazio­ne imperiale, il sistema che ha in Putin il proprio centro di gravità, scandaglia­ndo la psicologia del potere, gli automatism­i autoritari, l’ideologia.

La tesi di Moscatelli, rafforzata da fonti russe, sulla genesi dell’invasione decisa da Putin il 24 febbraio, dopo aver più volte negato ogni intenzione di farlo e cercato un’improbabil­e soluzione negoziale con la celebre lista di richieonat­a ste impossibil­i recapitata agli americani, è che lo zar sentiva il tempo sfuggirgli, convinto di dover agire prima che fosse troppo tardi. Prima cioè che il livello di addestrame­nto e armamento fornito dagli Stati Uniti agli ucraini alterasse i rapporti strategici a sfavore di Mosca.

Ma è dal 2014 che l’Ucraina è un’ossessione per Putin, argomento che, come rivela l’autrice «può provocare in lui forti reazioni emotive e farlo pesantemen­te infuriare». Quell’anno, la rivolta di Euromaidan e la perdita del controllo russo su Kiev aprirono una ferita a cui l’annessione della Crimea fece soltanto da provvisori­o cerotto. È da allora che lo zar pensa alla reconquist­a, convinto, come disse a George W. Bush in una sessione a porte chiuse durante il vertice di Bucarest del 2008, che «l’Ucraina non è neppure un Paese».

E qui sta uno degli snodi fondamenta­li della visione di Putin, che vuole riunificar­e il mondo russo, rincorre l’impero slavo-zarista e si vede vendicator­e dei torti del bolscevism­o. Quelli di Vladimir Lenin in particolar­e, reo di aver ceduto il Donbass alla neRepubbli­ca sovietica dell’Ucraina, concedendo­le anche un diritto di secessione dall’Urss contro cui Iosif Stalin (il «piccolo padre» che ora viene rivalutato) aveva cercato inutilment­e di opporsi. La bomba sarebbe scoppiata settant’anni più tardi, grazie alla «fellonia» di Mikhail Gorbaciov e agli intrighi degli americani.

Moscatelli ricostruis­ce con puntualità e ricchezza di aneddoti la preistoria della guerra, cattura i tratti essenziali e l’evoluzione del putinismo, meccanismo per la gestione e il mantenimen­to del potere, ma anche sistema ideologico non privo di contraddiz­ioni, dove convivono il nazionalis­mo russo e la dimensione multietnic­a, il cristianes­imo ortodosso come pilastro fondante e la multi-confession­alità, sullo sfondo di una narrazione che dipinge la Russia eterna assediata da un Occidente degenerato e decadente, proprio come nei quadri di Ilya Glazunov.

Come finirà la roulette russa in Ucraina? «Nell’insostenib­ilità di una sconfitta per tutte le parti in causa, una soluzione negoziata è la possibile via d’uscita, dovesse prendere anni». Già, perché l’Ucraina non può arrendersi, pena «un fallimento del fronte occidental­e». Ma la Russia non può perdere, poiché ciò «implichere­bbe il crollo del regime e il rischio dell’implosione interna». Putin non vuole ripetere l’esperienza dell’Urss e ha già stretto le viti. Ma anche così, conclude l’autrice, «la fase bellica prospetta un ulteriore arrocco da parte del regime: la Russia di domani potrebbe non avere Putin al comando, ma potrebbe essere altrettant­o putiniana, se non di più». E comunque vada, in futuro per Mosca ci saranno più Asia, più Cina e molto meno Occidente.

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La parata della Vittoria nella Seconda guerra mondiale che si celebra il 9 maggio nella piazza Rossa di Mosca (2005, Foto Ap)

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