Rushdie è lucido e parla con l’Fbi
Il governo iraniano nega qualsiasi coinvolgimento. L’attentatore si è radicalizzato dopo un viaggio in Libano
Salman Rushdie ha ripreso conoscenza e sta parlando con gli investigatori, mentre si trova ancora ricoverato in ospedale. Continuano intanto le indagini sul movente di Hadi Matar, che ha accoltellato lo scrittore venerdì scorso a Chautauqua, nello Stato di New York.
Un viaggio può cambiare la vita. In peggio. Dipende dal protagonista e da chi incontra. La madre di Matar è convinta che il figlio abbia intrapreso un sentiero diverso dopo aver passato un mese in Medio Oriente. In un’intervista al Daily Mail, Silvana Fardos, musulmana libanese, ha raccontato che nel 2018 Hadi è partito per il Libano, voleva incontrare il padre che si era stabilito nel villaggio natio di Yaroun dopo aver divorziato. Quel ritorno alle origini avrebbe inciso sull’esistenza del giovane: le cose sono andate male — ha sostenuto la donna — i rapporti con il genitore sono stati conflittuali e lui mi ha telefonato quasi subito sostenendo di voler rientrare negli Stati Uniti.
Invece si è fermato per 28 giorni: non è noto, al momento, se abbia avuto contatti con ambienti politici o estremisti. Di certo c’è che Matar, una volta tornato a casa, è parso molto più religioso e si è chiuso in sé. Criticava la madre perché non era osservante, passava gran parte del suo tempo nel seminterrato della casa, non aveva contatti diretti e preferiva cucinarsi da solo i suoi pasti. Una sorta di reclusione — interrotta dalle puntate in palestra a tirare di boxe — che ricorda quella di alcuni sparatori di massa statunitensi.
È durante questa forma di isolamento che il futuro assalitore ha «scoperto» il suo target? L’Fbi ha sequestrato del materiale, incluso il computer del ventiquattrenne. Il sito Vice, citando ambienti di intelligence, introduce una pista: vi sarebbero stati dei contatti via web, con elementi della Divisione Qods, l’apparato clandestino dei pasdaran iraniani. Ma sono riferimenti piuttosto vaghi, privi di riscontri precisi. E dunque si continua a guardare al contesto personale.
I media di Teheran non hanno nascosto la soddisfazione per l’attacco contro l’autore dei Versi satanici, facendo riferimento esplicito alla vendetta. Il governo di Teheran ha negato qualsiasi rapporto con il gesto di violenza, però lo ha presentato come una risposta naturale all’offesa verso il Profeta. Una posizione in linea con gli anni di minacce nei confronti di Rushdie, un incitamento all’odio continuato nella consapevolezza che, alla fine, qualcuno avrebbe raccolto l’appello.