«Rilanciamo il mestiere di arredatore»
Filippo Perego di Cremnago, 60 anni da interior decorator: al via un concorso per gli «under 40»
Negli occhi gli si legge la soddisfazione di aver ricevuto proprio nei giorni scorsi un duplice riconoscimento per uno dei lavori che hanno costellato la sua lunghissima carriera di arredatore: «Sono stato menzionato come autore degli interni del palazzo di corso Venezia, nuova sede del museo d’arte etrusca della Fondazione Rovati. Che l’architetto Mario Cucinella ha deciso di mantenere intatti nel progetto», dice Filippo Perego di Cremnago, accogliendoci nel suo appartamento milanese, una tra le tante case (e non solo) arredate nei suoi oltre 60 anni di ininterrotta attività.
Orgoglio, sì, ma soprattutto l’attestazione che un interno realizzato con maestria rimane apprezzato nel tempo. Lui ne è sempre stato convinto, eppure oggi, con la supremazia mediatica dei designer e dei grandi architetti, votarsi a una carriera di interior decorator per chi è agli inizi potrebbe sembrare meno attrattivo. «Per questo ho voluto contribuire ad accendere i riflettori su un lavoro affascinante, legato alla nostra tradizione ma in continuo rinnovamento. Oggi forse un po’ sottovalutato», racconta della sua idea di un concorso a inviti, il primo Premio Filippo Perego, che sceglierà e promuoverà un arredatore 4.0, giovane e italiano.
«La decisione di fare l’arredatore mi è nata a vent’anni, spontaneamente. Certo, essere cresciuto nella nostra casa di famiglia a Cremnago, immerso tra mobili, quadri, tappeti, tendaggi e con dei genitori appassionati all’argomento, ha contribuito. Ma loro erano contrari che ne facessi un lavoro», rievoca Perego dei suoi inizi. «Così, mettendo da parte i soldi, scelsi di non proseguire all’università ma di trasferirmi a New York: avevo sentito che là andava di moda farsi arredare la casa. Non avevo alcuna esperienza, ma mi lanciai». Tre anni di apprendistato in uno studio che curava l’interior di ville e case importanti («Imparai a tenere in mano la matita ma poco altro») e il rientro a Milano, nel 1957: «Tramite i miei genitori che lo conoscevano, approdai allo studio dell’architetto Tomaso Buzzi, arredatore dell’alta borghesia di allora: tre anni come suo assistente, e mi insegnò tutto. Aprendomi un mondo». Fu il caso a catapultare Perego nella professione: «Uno screzio di Buzzi con la famiglia Invernizzi, a cui stava risistemando una villa con parco alle porte di Milano. Mi chiesero se me la sentivo di completarla io, e così mi buttai». Fu il vero inizio, dopo il quale gli Invernizzi gli commissionarono gli interni del loro palazzo in corso Venezia: tre piani, giardino e terrazza con dependance. «Ridistribuii tutti gli spazi e poi scelsi ogni singolo arredo, andando con la padrona di casa dagli antiquari. E facendone realizzare molti su mio disegno», rievoca. Un lavoro, questo, arrivato intatto fino ai giorni nostri, come molti altri interior tra i centinaia da lui realizzati nel mondo che da allora si susseguirono.
Certo, le case e i loro abitanti sono cambiati, e lui stesso, negli anni, si è allineato al gusto del tempo, riducendo gli oggetti e inserendo anche mobili e opere d’arte contemporanei. Ma le sue «regole» sono rimaste identiche: «Le proporzioni impeccabili e la simmetria nel disporre gli arredi. L’uso sapiente del colore. E dei tessuti: li disegnavo io stesso, per averli esattamente come li volevo». Altro punto importante, la luce giusta: «Fondamentale per dare calore».
Non importa se la casa sia grande o piccola, il peso da attribuire agli ambienti per lui è limpidissimo: «Un ingresso, anche esiguo, per separare gli ambienti privati. Cucina spaziosa, l’ideale con zona pranzo. Il soggiorno aperto il più possibile, ma con aree ben distinte in base alle funzioni e comunicanti». Una sensibilità affinata con il tempo che, ribadisce, se si desidera intraprendere questo mestiere, occorre avere innata: «Significa saper accostare i colori in modo insolito. Ma anche avere
” Lo scenario
Un lavoro oggi un po’ sottovalutato, legato alla nostra tradizione ma in continuo rinnovamento
l’occhio sulle proporzioni: oggi ci sono arredi di dimensioni enormi, e occorre intuire se e come poterli inserire nello spazio a disposizione».
Tra qualche settimana il concorso Filippo Perego entrerà nel vivo, con i progetti candidati esaminati da lui stesso con una giuria: che cosa non dovrà mancare? «La sperimentazione e l’impiego di materiali innovativi», dice senza esitazioni. «Ma, soprattutto, il buon gusto».
” La formazione
Lasciai l’università e andai a New York, poi a Milano tre anni con Buzzi che mi insegnò tutto