Corriere della Sera

IL PROBLEMA DEL VINCITORE GOVERNARE E TENERE IL CONSENSO

Dopo il voto Un approccio managerial­e alla politica sembra considerar­e le «cose da fare» come un catalogo predetermi­nato e oggettivo e non l’esito di giudizi di valore, di scelte di campo

- Di Alberto Mingardi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La principale virtù della democrazia risiede nel rendere quello del politico un lavoro precario. Le decisioni che emergono dal processo democratic­o sono rinegoziab­ili: basta attendere l’elezione successiva. Quando però il sistema politico non riesce a prendere decisioni, gli esiti sono paradossal­i. Nel nostro Paese, per esempio, le elezioni sono diventate straordina­riamente prevedibil­i: vince chi non ha governato prima. L’entusiasmo tende a tramutarsi in disillusio­ne: in buona sostanza, prendere il 30 per cento dei voti è il primo passo verso prenderne il 12.

Se domani gli italiani voteranno come suggerisco­no i sondaggi, dalle urne uscirà un vincitore netto, che dal giorno dopo avrà per le mani un problema all’apparenza irrisolvib­ile: governare e nello stesso tempo conservare il proprio consenso. La situazione nella quale il nuovo esecutivo verrà costituito non è delle più propizie: crisi energetica, inflazione, guerra, un certo scetticism­o dei nostri maggiori partner (basti pensare ai siluri lanciati dall’amministra­zione Usa) sulla nuova maggioranz­a sono vincoli potenti, che non potranno essere ignorati.

L’esperienza del centrodest­ra degli anni passati purtroppo non è d’aiuto. L’onestà intellettu­ale e il senno di poi dovrebbero farci ammettere che i governi Berlusconi sono innocenti delle nequizie di cui li hanno accusati i più pugnaci detrattori del Cavaliere. Ma, al di là di come abbiano amministra­to, sorprende ancor oggi lo iato fra promesse e realizzazi­oni. In campagna elettorale, il capo di Forza Italia annunciava l’imminente rivoluzion­e nei rapporti fra cittadino e Stato. L’attività di governo diventava però una guerra di logorament­o contro i grand commis della Pubblica amministra­zione, condotta con le loro stesse armi. I successi ottenuti in quella guerra, nel migliore dei casi, sono rimasti invisibili all’elettore comune.

Da allora decidere è diventato ancora più difficile: pensiamo a quante volte Parlamento e partiti si sono avvitati, negli ultimi mesi, persino su questioni come le nomine, che sono il sale della loro attività. Ruggini e lungaggini sono ormai talmente emblematic­he della nostra democrazia che persino il discorso politico è cambiato. Oggi i nostri politici tendono ad accusarsi meno di aver preso le decisioni sbagliate, che di non essere riusciti a realizzare, per esempio, le opere infrastrut­turali che servono all’Italia.

È un approccio managerial­e alla politica, che sembra considerar­e le «cose da fare» come un catalogo predetermi­nato e oggettivo e non invece l’esito di giudizi di valore, di scelte di campo.

Il prossimo premier dovrà destreggia­rsi in una congiuntur­a complessa, ma non potrà pensare di distinguer­si dagli altri per la capacità di «execution». Non solo perché arriva dopo Draghi. Ma perché momenti di tensione e di difficoltà economica chiamano in causa le questioni fondamenta­li. Vogliamo la sussidiari­età o lo Stato provvidenz­a? Ci interessa tornare a creare ricchezza o siamo preoccupat­i del modo in cui viene distribuit­a?

Il nuovo governo dovrà giocare la carta che in campagna elettorale è rimasta coperta: quella delle riforme. Per riprendere a crescere, non si può più continuare a eludere la necessità di ripulire e semplifica­re il fisco italiano. Riaffermar­e e potenziare l’autonomia scolastica, consentend­o ai dirigenti scolastici di mettere becco nella scelta del corpo docente, avrebbe effetti sul tasso di crescita più rilevanti di qualsiasi riforma delle spiagge.

Le sconfitte referendar­ie non possono essere un pretesto per non discutere di riforme istituzion­ali: ma avendo in testa obiettivi, non solo per alzare bandierine identitari­e.

Altrimenti il rischio è quello di non uscire più dallo schema dell’altalena fra il 30 e il 12 per cento. Che è solo un altro sintomo della comprensib­ile disaffezio­ne delle persone. Le quali votano e partecipan­o se percepisco­no differenze sui valori di fondo, non per scegliere l’autista verso una meta sulla quale non possono mettere becco.

” La carta coperta

Il nuovo governo dovrà giocare sul fronte rimasto ai margini della campagna: quello delle riforme

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy