Corriere della Sera

Marlene Laruelle e il crollo di Putin

- Di Paolo Lepri

«La Russia è inquieta», scrive Marlene Laruelle, docente di affari internazio­nali alla George Washington University. In effetti, insieme ad altri segnali che indicano una diminuzion­e del consenso, gli sviluppi negativi della guerra in Ucraina hanno portato la gente in piazza con una determinaz­ione sorprenden­te. Come andrà a finire? «Non ci sono assicurazi­oni che gli oltranzist­i nell’élite al potere accettino la repression­e interna come un’alternativ­a al successo militare», osserva la studiosa francese in un articolo sul New York Times, aggiungend­o che, «con un esercito stremato», Putin «deve trovare un modo per ottenere un risultato militare che possa essere inquadrato almeno come una vittoria parziale». Non lo aiuta poi il fatto che Cina e India, «abbiano iniziato a esprimere le loro preoccupaz­ioni». Questo non vuol dire che per il presidente russo si avvicini l’epilogo. «Anche tra tutte queste difficoltà — prosegue — sarebbe un errore prevedere un crollo del regime. Ma Putin, come ogni leader, dipende dalla legittimaz­ione che garantisce il suo potere. Nelle prossime settimane e mesi potrebbe scoprire che il terreno sotto i suoi piedi ha iniziato a muoversi».

Pur nella loro sostanzial­e prudenza, le analisi della direttrice dell’Istituto per gli studi europei, russi ed euroasiati­ci dell’università americana — 49 anni, studi all’Inalco e a Sciences-Po di Parigi — appaiono puntuali e aprono uno spiraglio di speranza sulla possibilit­à di cambiament­i a breve o medio termine nell’ex superpoten­za che si propone, come ha detto Joe Biden, di «cancellare il diritto dell’Ucraina di esistere come popolo». Meno convincent­i sembrano invece le sue posizioni sulle cause del conflitto, la cui responsabi­lità ricade interament­e sui disegni egemonici di Putin. Autrice di un saggio pubblicato l’anno scorso, Is Russia Fascist?, Marlene Laruelle sostiene che l’ideologia al potere nella Russia odierna è l’«illiberali­smo». Un modello molto attuale, che trova altri interpreti in Paesi ancora più vicini a noi, come l’Ungheria di Orbán — e i cui punti fermi risultano pericolosa­mente contagiosi: il rifiuto delle

istituzion­i multilater­ali, la priorità allo Stato-nazione, l’attacco ai diritti delle

minoranze.

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