«Ho visto che la uccidevano con la corda»
Caso Saman, il cugino a un altro detenuto: il suo corpo portato in bici fino al Po. La cautela degli inquirenti
Questo racconto, letto nelle carte giudiziarie, su come Saman sia stata strangolata, smembrata e gettata nel Po, arriva direttamente da «radiocarcere» e per questo deve essere preso con «molta, molta cautela» come precisa uno degli inquirenti che ha seguito l’inchiesta sulla morte della diciottenne pachistana sparita nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 a Novellara.
A riferirne, parlandone due volte nell’«ora d’aria», sarebbe stato proprio Ikram Ijaz, cugino della giovane e uno dei tre arrestati per concorso in omicidio — gli altri sono Nomanulhaq Nomanulhaq, pure lui cugino, e Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, il papà di Saman fuggito in Pakistan con la moglie Nazia — rinchiuso nel carcere di Reggio.
Dopo un primo racconto in cui minimizzava il suo ruolo — «io non c’entro» —, «sconfortato» dalla detenzione, avrebbe detto di più. Una versione giunta alla polizia penitenziaria e girata ai carabinieri in un rapporto del 29 ottobre 2021. Nella successiva informativa inviata dall’’Arma alla Procura si legge che in ciò che avrebbe riferito Ijaz «permangono punti oscuri», certi fatti sono forse «frutto della sua fantasia» e della «necessità di far aderire, per essere il più possibile credibile, quello che avrebbe detto a quanto già» emerso dall’indagine.
Ecco dunque come sarebbe andata stando a questa seconda versione, però «ben più realistica della precedente» anche perché stavolta, da parte di Ijaz, ci sarebbe «una rilevante chiamata in correità».
L’omicidio sarebbe stato voluto da Shabbar e Nazia incapaci di «gestire» Saman, sempre più ribelle. Dopo che madre e figlia, attorno alla mezzanotte del 30 aprile, escono dal casolare — la ragazza crede che il padre voglia ridarle i documenti d’identità «sequestrati» in precedenza — d’un tratto, sullo sterrato, compaiono zio e cugini. Separano le due donne, legando mani e piedi di Saman. Scena che sconvolge Nazia, in lacrime, e che per questo viene allontanata dal marito. La diciottenne viene soffocata con una corda ma non muore. Per questo Shabbar telefona a una quarta persona che dopo «pochi minuti» giunge con il volto travisato da un passamontagna.
Lo sconosciuto ordina a Hasnain di stringere la corda e Saman muore. Il prosieguo del vociare dal carcere è in gran parte irriferibile, tanto pare scioccante. In qualche modo il cadavere viene fatto stare in un sacco nero. In tre trasportano il corpo raggiungendo in bici il Po, verso Guastalla, lungo un percorso in campagna, lontano dalle telecamere, pianificato da tempo.
A questo punto «i pezzi vengono gettati nel punto del fiume dove la corrente è più forte per consentire il trascinamento» il più lontano possibile. «Tutto previsto nei minimi dettagli», dicono dal carcere. Persino quel video che, la sera del 29 aprile, riprendeva Danish e i cugini nell’aia del casolare con le pale da usare, — era l’ipotesi — per seppellire Saman, non sarebbe altro che un depistaggio. Ma per questo «racconto —taglia corto un investigatore — non c’è alcun riscontro».
E ancora, in altri atti: prima che venga uccisa, il fratellino di Saman la segue mentre esce dal casolare con la madre. Shabbar e Nazia però lo fermano: «Non venirci dietro, sennò incolperanno anche te».