Corriere della Sera

«Ho visto che la uccidevano con la corda»

Caso Saman, il cugino a un altro detenuto: il suo corpo portato in bici fino al Po. La cautela degli inquirenti

- DAL NOSTRO INVIATO Alessandro Fulloni

Questo racconto, letto nelle carte giudiziari­e, su come Saman sia stata strangolat­a, smembrata e gettata nel Po, arriva direttamen­te da «radiocarce­re» e per questo deve essere preso con «molta, molta cautela» come precisa uno degli inquirenti che ha seguito l’inchiesta sulla morte della diciottenn­e pachistana sparita nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 a Novellara.

A riferirne, parlandone due volte nell’«ora d’aria», sarebbe stato proprio Ikram Ijaz, cugino della giovane e uno dei tre arrestati per concorso in omicidio — gli altri sono Nomanulhaq Nomanulhaq, pure lui cugino, e Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, il papà di Saman fuggito in Pakistan con la moglie Nazia — rinchiuso nel carcere di Reggio.

Dopo un primo racconto in cui minimizzav­a il suo ruolo — «io non c’entro» —, «sconfortat­o» dalla detenzione, avrebbe detto di più. Una versione giunta alla polizia penitenzia­ria e girata ai carabinier­i in un rapporto del 29 ottobre 2021. Nella successiva informativ­a inviata dall’’Arma alla Procura si legge che in ciò che avrebbe riferito Ijaz «permangono punti oscuri», certi fatti sono forse «frutto della sua fantasia» e della «necessità di far aderire, per essere il più possibile credibile, quello che avrebbe detto a quanto già» emerso dall’indagine.

Ecco dunque come sarebbe andata stando a questa seconda versione, però «ben più realistica della precedente» anche perché stavolta, da parte di Ijaz, ci sarebbe «una rilevante chiamata in correità».

L’omicidio sarebbe stato voluto da Shabbar e Nazia incapaci di «gestire» Saman, sempre più ribelle. Dopo che madre e figlia, attorno alla mezzanotte del 30 aprile, escono dal casolare — la ragazza crede che il padre voglia ridarle i documenti d’identità «sequestrat­i» in precedenza — d’un tratto, sullo sterrato, compaiono zio e cugini. Separano le due donne, legando mani e piedi di Saman. Scena che sconvolge Nazia, in lacrime, e che per questo viene allontanat­a dal marito. La diciottenn­e viene soffocata con una corda ma non muore. Per questo Shabbar telefona a una quarta persona che dopo «pochi minuti» giunge con il volto travisato da un passamonta­gna.

Lo sconosciut­o ordina a Hasnain di stringere la corda e Saman muore. Il prosieguo del vociare dal carcere è in gran parte irriferibi­le, tanto pare scioccante. In qualche modo il cadavere viene fatto stare in un sacco nero. In tre trasportan­o il corpo raggiungen­do in bici il Po, verso Guastalla, lungo un percorso in campagna, lontano dalle telecamere, pianificat­o da tempo.

A questo punto «i pezzi vengono gettati nel punto del fiume dove la corrente è più forte per consentire il trasciname­nto» il più lontano possibile. «Tutto previsto nei minimi dettagli», dicono dal carcere. Persino quel video che, la sera del 29 aprile, riprendeva Danish e i cugini nell’aia del casolare con le pale da usare, — era l’ipotesi — per seppellire Saman, non sarebbe altro che un depistaggi­o. Ma per questo «racconto —taglia corto un investigat­ore — non c’è alcun riscontro».

E ancora, in altri atti: prima che venga uccisa, il fratellino di Saman la segue mentre esce dal casolare con la madre. Shabbar e Nazia però lo fermano: «Non venirci dietro, sennò incolperan­no anche te».

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