Addio a Maarten Schmidt, scoprì i quasar
L’astronomo olandese naturalizzato americano aveva conquistato la copertina di «Time»
Durante le sue ricerche sulla velocità di rotazione della nostra galassia e sull’origine dello spostamento verso il rosso delle linee spettrali, Maarten Schmidt, l’astronomo olandese naturalizzato americano scomparso a 92 anni nella sua casa di Fresno in California, era «incappato» nello spettro di un quasar. E aveva identificato questi oggetti cosmici luminosi e distanti che assomigliano alle stelle nel loro aspetto, buchi neri al centro di galassie molto lontane.
Era il 1963 e Schmidt (nato a Groningen il 28 dicembre 1929) decise di annunciare pubblicamente la sua scoperta, ma poiché non esisteva un nome per queste sorgenti, Schmidt le battezzò «sorgenti radio quasi-stellari», dando origine al termine quasar.
Dopo la prima osservazione del 1963, sono stati identificati migliaia di quasar: oggetti che esistevano solo agli albori dell’universo, ma che sono ancora visibili oggi perché la luce impiega molto tempo a percorrere queste enormi distanze.
Il percorso di Schmidt (che per la sua scoperta l’11 marzo 1966 avrebbe conquistato la copertina della rivista «Time») era iniziato con l’astronomo Jan Hendrik Oort, con quale aveva svolto il dottorato all’Osservatorio astronomico di Leida. Poi aveva proseguito gli studi all’Università di Yale. Nel 1959 era emigrato negli Stati Uniti ed era stato assunto al California Institute of Technology, dove aveva insegnato fino alla pensione, e in seguito aveva lavorato presso gli osservatori di Monte Wilson e Monte Palomar.
Famoso anche per le sue ricerche sulla velocità di rotazione della galassia Schmidt (eletto nel 1978 membro della National Academy of Sciences) ha di fatto ampliato le dimensioni dell’universo conosciuto, fornendo uno dei primi indizi della correttezza della teoria del Big Bang.