Dal tumore alle medaglie: Pizzo, schermidore da film
L’attore Vassallo: mi identifico nel campione, io convivo con una malattia
ROMA «Io so cosa significa combattere una malattia». L’attore Alessio Vassallo inizia le riprese del tv-movie La stoccata vincente, tratto dal libro del campione di scherma Paolo Pizzo, con la regia di Nicola Campiotti per la produzione Rai Fiction e Anele di Gloria Giorgianni che afferma: «Tenacia e capacità. La storia emblematica di Pizzo è di riscatto sociale e umano».
«Pizzo, a 13 anni, scoprì di avere un tumore al cervello — racconta Vassallo, che nella serie Il giovane Montalbano impersonava Mimì Augello e nel film-tv La concessione del telefono dal romanzo di Camilleri era il protagonista Pippo Genuardi — già era impegnato nella scherma, ma uno dei primi sintomi che gli si manifestavano era che, a volte, gli si annebbiava la vista. Sin da ragazzino ha combattuto la malattia, per fortuna l’ha vinta e poi è diventato medaglia d’oro al Campionato mondiale. Io, intorno ai 28 anni, ho scoperto di essere affetto dal morbo di Crohn: una malattia autoimmune con cui bisogna convivere. All’inizio era silente, è esplosa al termine di una lunga, dolorosa storia d’amore finita male. Un crollo psicofisico, molto debilitante nella sfera privata e sentimentale».
Un problema serio, che teneva nascosto? «Sì, e qui sta lo sbaglio. Sono stato ricoverato più volte ma, al di là dei miei parenti stretti, tendevo a non dire ciò che avevo, mi vergognavo. Quando ho avuto la forza per parlare del morbo da cui sono colpito, sono riuscito a superare il problema: il morbo c’è ancora, ma riesco a controllarlo, a non esserne risucchiato. È stata una vera liberazione e questo film è per me ulteriormente curativo».
Un’identificazione con Pizzo? «Quello che è accaduto a lui è simile a ciò che è accaduto a me e, attraverso la sua storia vincente, si può trasmettere ai giovani un messaggio importante: se la vita ci mette di fronte a prove difficili, non bisogna nascondersi, ma trasformare il problema nella nostra forza. D’altronde, io, sin da ragazzino ho dovuto affrontare e superare altre prove. Essendo timido, venivo bullizzato da certi compagni di scuola: ero considerato un diverso, mi escludevano dalle feste, dalle partite a pallone. Una discriminazione di rabbia e dà un calcio al pallone talmente forte che riesce a centrare la rete: era gol! Urlammo di gioia. La stessa che provo, adesso, nel raccontare l’avventura di Pizzo: lui è la determinazione, la disciplina fatta persona e incarnarlo non è facile. Il campione è lui, io lo imito e mi sto allenando da mesi in palestra con maestri di scherma. Sento la fatica fisica, capisco cosa significa arrivare a casa con i crampi alle gambe e non riuscire a dormire la notte. E allora Paolo, siculo come me, lui di Catania, io di Palermo, mi ripete: “Compare, guarda avanti!”. Lui è davvero un esempio importante per le nuove generazioni».