FRATELLI NON PIÙ RIBELLI
L’appuntamento Lo Stradivari Festival si apre con una coppia inedita formata da due protagonisti dell’archetto MASSIMO E ALESSANDRO QUARTA «IL VIOLINO FINALMENTE CI RIUNISCE»
Due fratelli violinisti, due talenti dell’archetto: sono i «Quarta Bros» ad inaugurare l’edizione 2022 dello Stradivari Festival. Un evento eccezionale, perché sarà la prima volta che Massimo e Alessandro condivideranno un palco; rispettivamente a 57 e 46 anni. «Perché non lo abbiamo mai fatto prima? Perché per trent’anni la musica più che unirci ci ha diviso» rivela Massimo, il fratello maggiore. «A 16 anni mi trasferii a Roma per studiare, Alessandro aveva cinque anni, non ho ricordi con lui. Tornavo per le feste, ma non si suonava insieme, al massimo Alessandro sedeva al pianoforte e improvvisavamo qualcosa di jazz. Di lui ammiro la duttilità: sa suonare tanti strumenti, oltre al piano e al violino il basso, la chitarra… Sa passare dalla classica al jazz ad altri generi con facilità totale, sa comporre. Io suono e dirigo, solo classica».
Anche Massimo partì col pianoforte «ma quando vidi un filmato di una violinista dissi ai miei non che avrei suonato il violino, ma che avrei fatto il violinista: mi aveva stregato. Loro non erano musicisti, ma amavano follemente la classica: non vedevano l’ora e mi iscrissero subito al Conservatorio». Alessandro si avviò subito al violino, per merito del fratello: «Lo sentivo studiare, non avevo neppure due anni, stavo dietro la porta e facevo finta che il mattarello della mamma fosse lo strumento; a tre anni iniziai le lezioni. Non fu facile, sono sempre stato «il fratello di»; mi diplomai a 15 anni, ma nel contempo Massimo vinceva il concorso Paganini di Genova. Mi sentivo stretto anche nei confini della classica: ascoltavo rock, pop, metal, col violino arrangiavo le canzoni dei
Dream Theater o dei Pink Floyd; note sacrileghe per i professori del Conservatorio e per i miei genitori, ero la pecora nera. Però a un certo punto capii che avevo bisogno di una musica tutta mia e iniziai a comporre; fu lì che feci pace con me stesso e con l’arte». Arrivando a suonare con Santana e firmare colonne sonore «liberato anche dal frac: jeans e maglietta; probabilmente anche a Cremona avremo due abbigliamenti molto diversi, il classico e il casual».
Entrambi avranno due splendidi violini, Alessandro un Gagliano del 1723 («la mia bambina: ho un rapporto fisico col mio strumento, e sento che rappresenta la mia parte femminile»), Massimo un Rocca del 1840: «Una fondazione mi ha messo a disposizione un Guarneri del Gesù, ma stiamo verificando con Virginia (Villa, direttrice del Museo del violino, ndr.) se sia possibile usare uno degli strumenti conservati a Cremona: ne ho suonati vari, tutti meravigliosi, sarebbe stupendo riprendere in mano lo Stradivari “Cremonese”, con cui mi sono già esibito proprio nell’Auditorium Arvedi».
Dopo gli studi Massimo prese casa e fece famiglia a Roma. «Ho due figli che ho avviato alla musica, ma nessuno di loro è diventato musicista di professione: suonano e cantano anche bene, ma mi hanno dimostrato che i figli hanno una loro strada ed è giusto che la percorrano. Sono tornato a vivere a Lecce nel 2008, ma dal 2016 abito a Lugano, insegno nel Conservatorio della Svizzera Italiana».
Il progetto è un’idea di Alessandro: «Dissi a Massimo: sono trent’anni che ci chiedono perché non suoniamo insieme, facciamolo così la smettono». «I tempi erano maturi, prima non c’era mai stata una reale occasione», conferma Massimo, che del programma ha scelto i due grandi classici, i Concerti per due violini di Bach e Vivaldi. Alessandro ha invece chiesto a Simonide Braconi, prima viola scaligera, e a Silvia Colasanti, due nuovi brani. «E ne ho composto uno io, in meno di venti giorni. Un brano tripartito che percorre la nostra storia. Il primo movimento si intitola Disagia: il disagio soprattutto mio di avere un fratello che per tanti anni è stato più grande in tutto. Il secondo è Romeo e Giulietta: non saprei dire chi di noi due è l’uno e chi è l’altra; la musica staglia una distanza abissale tra il suolo e il balcone di Giulietta, simbolo della distanza che la musica ha posto tra noi. Il finale è con Tarantula, la danza della nostra terra, il Salento, e il morso del ragno che si dice possa essere guarito con le note. Perché alla fine la musica ha unito me e Massimo e ha guarito le ferite di una storia complicata, ma ricca e bella».