Costi, stadi, diritti tv, giovani «Il calcio o cambia o chiude»
Cairo: «Tornare grandi è possibile». Gravina: «Puntare su vivai e infrastrutture»
TRENTO Il rosso di bilancio della Juventus da 254 milioni è solo l’ultimo dato choc che testimonia la crisi sempre più profonda nella quale versa il calcio italiano. Troppi stadi inadeguati, ricavi frenati (anche) dalla pandemia, diritti televisivi esteri quasi inesistenti. La situazione è serissima, il pallone nazionale è a un crocevia epocale: prendere la scelta sbagliata — oppure non prenderla del tutto, restando ancora una volta fermi a guardare — stavolta potrebbe essere un errore fatale. C’è un problema di governance, questo è evidente. Continua a mancare una visione d’insieme, per fare fronte comune tra le varie componenti del sistema e invertire la rotta, come invece altri campionati hanno già fatto da tempo.
I dati non mentono. Nel 2020/21 i ricavi della nostra scalcagnata serie A tolte le plusvalenze ammontavano a 2,3 miliardi di euro, dato lontanissimo dai 6,5 della sempre più inarrivabile Premier, ma anche inferiore a Liga spagnola (3,7) e ormai anche alla Bundes tedesca (3,1). Nel 2003 eravamo i migliori, con tre italiane su quattro in finale di Champions League, da lì in poi siamo stati sorpassati da tutti. Oggi, per dire, solo i francesi ci restano dietro. «Ma tornare grandi non è impossibile, nulla è irreparabile» è la convinzione di Urbano Cairo, presidente di Rcs MediaGroup e del Torino, che però mette in chiaro come per riuscirci serva «cambiare registro». Di problemi e soprattutto di soluzioni s’è parlato ieri al Festival dello Sport, che ha portato gli Stati Generali del calcio sul palco del teatro Sociale di Trento.
Parterre notevole, come ormai da tradizione della kermesse organizzata da Gazzetta con Trentino Marketing: col vicedirettore della rosea Andrea Di Caro a fare da moderatore, oltre a Urbano Cairo c’erano Gabriele Gravina, presidente Figc; Lorenzo Casini, presidente Lega serie A; Francesco Carione, direttore generale della Gazzetta; Stefano Azzi, ceo for Italy Dazn Group; Andrea Duilio, a.d. Sky Italia. Sul fatto che il cambiamento non sia più rinviabile, tutti d’accordo. «Aumentare i ricavi è l’obiettivo fondamentale, anche se non è facile — ha detto Cairo —. Dobbiamo perciò intervenire sui costi, sugli stipendi. Bisogna andare avanti lavorando sui vivai e sui giovani». Una cosa è certa: è una sfida che si può vincere solo tutti insieme.
Significativo anche il passaggio sui tetti salariali, sulle commissione agli agenti troppo esose (173 milioni pagati dalla serie A nel solo 2021) e sui fondi d’investimento, la grande occasione persa dal calcio italiano: «Ma non è detto che non ce ne sia un’altra», ha concluso Cairo.
Per Gravina «i due asset fondamentali sono i vivai e le infrastrutture, anche in vista della candidatura a Euro 2032. Ma serve togliere il diritto di veto, non permette un’unità di intenti. Durante l’assemblea straordinaria di dicembre ci confronteremo per cambiare le regole, poi affronteremo la riforma che lo stesso mondo del calcio chiede da troppo tempo». Casini lavora invece a una nuova Lega: «Va riorganizzata in modo da creare una media company a cui affidare i compiti di commercializzazione e negoziazione dei diritti, inclusa la parte all’estero. Porterebbe un aumento dei ricavi e un contenimento dei costi».
A proposito di tv, per Azzi di Dazn «streaming e modalità interattive sono occasioni da sfruttare per migliorare il prodotto finale», mentre Duilio di Sky si sofferma sul problema della pirateria: «È la più grande differenza tra Regno Unito e Italia, svaluta pesantemente il prodotto calcio, toglie posti di lavoro, causa meno entrate allo Stato ed è una vera mancanza di rispetto nei confronti di chi paga il servizio». Il famigerato pezzotto. Altro tema sottovalutato. Uno dei tanti, purtroppo.