Corriere della Sera

Letta: fallito il piano per distrugger­ci E rilancia il dialogo con Conte e Calenda Aria di resa dei conti

I timori del Nazareno per un risultato sotto la soglia del 20% Il segretario: «Se fosse un disastro ne trarrei le conseguenz­e» Rabbia e critiche ai vertici nelle chat dei parlamenta­ri

- di Maria Teresa Meli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA Primo sospiro. Sono gli exit poll. Enrico Letta dalle dieci di sera è riunito con lo stato maggiore del Partito democratic­o: «La loro vittoria era scontata e lo sappiamo, bisogna vedere quanta agibilità avremo noi, quanto riuscirà a incidere l’opposizion­e». Il secondo sospiro di sollievo il leader dem non lo tira: «Lo farò quando sarà assodato che siamo sopra il 20%».

Già il 20: un’asticella che conta. È la differenza tra restare in sella o lasciare la segreteria del Pd. L’altro giorno il leader ha chiarito che la sua segreteria non è in gioco. «Comunque siamo intorno al 20», dicono nello staff del segretario. E lo ripetono come un mantra. Aggiungend­o: «Comunque l’operazione “distruzion­e Pd” non è riuscita». Spiega il segretario ai suoi: «Conte e Calenda avevano lanciato un’Opa sul nostro partito ma hanno fallito».

Le prime proiezioni sono accolte con trepidazio­ne. E smentiscon­o le parole dei fedelissim­i di Letta. Quell’asticella non è stata raggiunta. E nemmeno sfiorata.

Per il resto del tempo, tra un sondaggio e una proiezione, Letta valuta già le mosse future. Le battaglie, innanzitut­to. Quella sul ddl Zan. che ha deciso di non abbandonar­e nonostante le perplessit­à interne al suo partito. Ma soprattutt­o quella sullo ius scholae. Su questo tema il Pd insisterà sin da subito: «Va fatto e noi non possiamo arretrare: chi dice no è razzista e deve essere chiaro a tutti».

Letta è stanco, ma carico quando arriva al Nazareno. Sa di aver dato tutto quello che poteva dare. Gli rimprovera­no (dentro il partito) di aver lasciato andare il Movimento 5 Stelle. Lui tira dritto, convinto di non aver sbagliato: «Dall’elezione del presidente della Repubblica avevo capito che Conte giocava una sua partita.

L’ha terminata facendo cadere il governo Draghi. Un errore di cui pagheremo le conseguenz­e per i prossimi mesi...».

Ma Letta è anche un pragmatico: «La destra si è messa tutta assieme, dopo per noi sarà più facile parlare con chi non ci siamo alleati, cioè con Conte e Calenda». I quali, però, sia detto per inciso, al momento non hanno granché voglia di parlare con il leader del Partito democratic­o. E questo sarà un problema per Letta.

Si fa tardi. Non c’è ancora un risultato affidabile. Ma Letta continua a vedere quell’asticella: è ancora sotto il 20. «Se fosse un disastro ne trarrei le conseguenz­e», dice ai suoi con un filo di voce. E sullo schermo scorrono, irridenti, le proiezioni che riguardano Giuseppe Conte. «Forse se lo avessimo agganciato...», dice qualcuno nella stanza. Segue il silenzio. E le parole che verranno potranno essere complicate. Da pronunciar­e, da ascoltare. Letta aspetta e non proferisce verbo.

Parlano, alle sue spalle, in molti. «È il peggior gruppo dirigente della storia del Partito democratic­o. Chi guida e chi ha assecondat­o il conducente

ha sbagliato». Nelle chat dei parlamenta­ri del Pd si diffonde la rabbia, si sparge l’ironia, il disappunto fa da colonna sonora. Verso mezzanotte compare una card del partito rivisitata: piangere, bestemmiar­e. Sono passati giorni da quando nella war room del Pd si stimava il partito al 27%. Allora si pensava che i dem sarebbero stati il primo partito. Così raccontava­no i sondaggi che arrivavano al Nazareno. Ed è questo che ha convinto Enrico Letta a giocarsi la partita contro Meloni, enfatizzan­do lo scontro con la leader di Fratelli d’Italia. Sì, un sondaggio, anzi più sondaggi, che davano il Pd tra il 22 e il 28 per cento. Quei sogni e quei ragionamen­ti ora lasciano il tempo che trovano. Adesso sulla scrivania del leader ci sono le prime proiezioni. E non raccontano niente di buono.

Il clima nel partito

C’è chi ricorda polemicame­nte che i vertici avevano stimato un Pd al 27%

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