Corriere della Sera

Zelensky chiama i russi: disertate

Il patriarca Kirill promette indulgenza plenaria ai soldati: «Morire in battaglia lava i peccati» Da martedì Mosca chiude i confini per chi è in età da mobilitazi­one In settimana sarà proclamato il risultato (ovvio) dei referendum

- DAL NOSTRO INVIATO F. Bat. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

KIEV Cambiate numero di telefono, non aprite la porta a nessuno, spostate la residenza, procuratev­i falsi certificat­i medici, dite che la vostra religione v’impedisce di combattere. O alla peggio, andate in Mongolia… Nelle chat e sui social russi, abbondano i consigli e i «gruppi di sopravvive­nza»: mille modi per evitare l’arruolamen­to forzato. Uno s’intitola «festa di non compleanno» e sottintend­e che il 7 ottobre, quando Vladimir Putin compirà 70 anni, molti farebbero volentieri a meno di celebrare con lui il lieto evento. Il tempo stringe. Settantami­la russi sono già in Finlandia, in Svezia, in Georgia, in Kirghizist­an. Ma dalla mezzanotte di martedì, ultimo giorno dei finti referendum nei territori occupati, il Cremlino starebbe decidendo di sbarrare tutte le frontiere a chi è in età d’armi, fra i 18 e i 35 anni. Vietato espatriare. E se pure le ultime vie di fuga per l’Europa si chiudono, è verso Ulan Bator — la Città degli Eroi Rossi — che cerca di scappare chi, un eroe russo, non vuole proprio diventarlo: la Mongolia non chiede visti e al valico d’Altanbulag, da tre giorni, ci si mette in coda con l’auto, con la moto, a piedi.

Fugit hora, memento mori. Nella cattedrale di Cristo Salvatore, il Patriarca di Mosca promette l’indulgenza plenaria: «Chi muore in battaglia, si sacrifica per gli altri — ammonisce Kirill I — e questo sacrificio lava via tutti i peccati che una persona ha commesso». Ma una mobilitazi­one di 300 mila persone è una roba che non si vedeva da mezzo secolo, osserva il politologo Grigory Yudin sul sito indipenden­te Meduza, «e rompe un patto generazion­ale che Putin aveva stretto coi giovani negli ultimi vent’anni: ragazzi, voi vi fate gli affari vostri e io starò fuori dalle vostre vite… Adesso non è più così».

Il malcontent­o è così forte che i duemila arrestati finora nelle manifestaz­ioni di protesta — soltanto sabato, 798 fermati in 33 città — fanno esplodere la rabbia d’una fedelissim­a caporedatt­rice di Russia Today, la più putiniana delle tv: «Dicevano di voler reclutare le persone fino ai 35 anni — scrive Margarita Simonyan su Telegram — e invece arrivano le cartoline anche a chi ne ha 40. Fate infuriare la gente, come se lo faceste apposta, per dispetto. Come se vi mandasse Kiev!».

Non basta la truppa, è il calcolo degli esperti militari: per comandarla servono almeno 15 mila ufficiali tra maggiori, tenenti colonnelli e generali. Ma dove pescarli? Molte trincee in Ucraina non sono neanche al 35% degli organici e la provocazio­ne d’usare le atomiche tattiche cerca solo di nascondere enormi carenze: «L’uso d’armi nucleari avrà conseguenz­e catastrofi­che per la Russia», avverte la Casa Bianca, ed è il messaggio (lo scrive il Washington Post) che gli Usa stanno dando a Mosca «da sette mesi, ininterrot­tamente, in via riservatis­sima».

Aspettando che questa settimana si proclamino l’ovvio risultato del voto e l’annessione del Donbass, di Kherson e di Zaporizhzh­ia — dove saranno arruolati i «nuovi russi» —, una mobilitazi­one silenziosa è in corso in quella Crimea che un altro referendum farlocco russificò nel 2014: già ad agosto, il 55% de

gli arruolabil­i era stato spedito a Donetsk e nel Lugansk. E beffa nella beffa, gli ultimi 1.500 richiamati sono tatari, la minoranza musulmana che Putin vuole togliersi di torno: «Un vero genocidio etnico», dice Mikhailo Podolyak, braccio destro del presidente Zelensky, «il tentativo di Mosca di ripulire la Crimea da un popolo che non le è fedele». Per evitare lo stesso destino, le donne islamiche del Dagestan sono scese in piazza a protestare contro l’arruolamen­to forzato di figli e mariti. Il governator­e ha schierato un cordone di forze di sicurezza, credendo di tamponare, ma ha fatto male i conti. Una folla inferocita di daghestane, tutt’altro che spaventate, ha preso a ceffoni i poliziotti. E li ha messi in fuga.

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(foto Ap) I seggi del Donbass Una donna infila la scheda nell’urna di vetro a Lugansk, nell’autoprocla­mata repubblica popolare che la Russia vuole annettere alla Federazion­e tramite referendum
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