Corriere della Sera

L’UOMO VINSE SUI COMPUTER (PER FORTUNA)

- di Massimo Sideri

Si dice che la storia sia maestra di vita. Ci tocca sperarlo. Il 26 settembre del 1983, 39 anni fa, il mondo sfiorò l’Armageddon nucleare. Lo sfiorò senza artifici retorici: sarebbero bastati la pressione su un bottone, un pizzico di isterismo in più e qualche cellula grigia in meno da parte di chi aveva quel potere sotto il proprio dito. Non è un thriller, ma la cronaca di un ordinario eroismo che venne svelato solo molti anni dopo. Quel 26 settembre, nell’ultima propagine della Guerra fredda, accadde che il sistema satellitar­e dell’Urss si confuse, segnalando al tenente colonnello Stanislàv Petrov, che in quel momento aveva il compito di sorvegliar­e il mondo sul baratro, un attacco Usa in corso con 5 testate atomiche. Petrov controllò i radar di terra che non avevano rilevato nulla e prese la difficile decisione di giudicarlo un falso allarme: perché usare solo 5 missili sapendo che sarebbe esplosa l’Ultima guerra nucleare? Valutò senza ideologie in un mondo accecato da esse. Petrov morì nel 2017 con pochi riconoscim­enti da parte dell’Occidente e quasi nessuno da parte dell’ex blocco sovietico: la sua colpa era stata quella di aver svelato una falla nella tecnologia russa. L’orgoglio dei popoli è il padre di tutti gli errori. Dopo l’escalation verbale di Vladimir Putin e il veloce rischio di assuefazio­ne che l’informazio­ne del 2022 mostra di avere a contatto con il dizionario del radicalism­o, la storia di Petrov va (ri)scoperta. Le lezioni che ci ha lasciato sono molteplici: 1) Intelligen­za umana batte quella artificial­e: Petrov dimostrò la forza dell’homo sapiens nel decifrare l’incoerenza della tecnologia. E oggi ne abbiamo molta più che nel 1983. 2) Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che tutti i russi siano folli. Non abbiamo il monopolio del buon senso, per fortuna. 3) La storia è sì maestra di vita, ma a una condizione necessaria e non sufficient­e: la dobbiamo conoscere. Altrimenti è come lanciarsi da un aereo con il paracadute, ma senza aprirlo.

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