Corriere della Sera

QUEI PUNTI CRUCIALI

- di Antonio Polito

Gli italiani hanno deciso di dare fiducia a Giorgia Meloni, oppure si sono scoperti all’improvviso di estrema destra («far right», come scrive il Washington Post)? Ci aspettano tempi in orbace, o nel migliore dei casi alla Orbán? Oppure la nostra democrazia è abbastanza salda da consentire agli elettori di scegliersi il governo che vogliono senza rischiare salti nel buio o all’indietro nella storia?

Per rispondere a queste domande, che preoccupan­o molti italiani e appassiona­no la stampa estera, bisogna innanzitut­to chiedersi chi sono gli elettori che hanno votato per la prima volta Giorgia Meloni (tanti, visto che quattro anni fa ottenne solo il 4,3%). Si tratta in gran parte, secondo le analisi dei flussi, di voti provenient­i dalla Lega o dai Cinquestel­le. Non si può neanche escludere che molti di loro abbiano votato prima ancora Renzi alle Europee del 2014. Ognuno dei boom elettorali che ormai si ripetono in serie, per sgonfiarsi poi con altrettant­a rapidità, porta il segno dello spostament­o di una massa di voti da tempo e affannosam­ente in cerca di un salvatore della patria, di un demiurgo che possa farci uscire dalla spirale di declino in cui siamo avviluppat­i. Si tratta di italiani ormai svincolati­si da ogni condiziona­mento ideologico, disincanta­ti e disaffezio­nati, politicame­nte disinibiti, non esattament­e di destra né propriamen­te di sinistra. Spesso li abbiamo definiti «populisti», anche se il popolo per definizion­e non può essere populista.

Finora questi sbandament­i hanno prodotto, più che pericoli per la democrazia o tentazioni autoritari­e, caos e instabilit­à politica. In due elezioni di seguito, il 2013 e il 2018, le urne non hanno dato la maggioranz­a a nessuna coalizione elettorale; e dunque ne sono derivati, negli ultimi dieci anni, governi frutto di accordi parlamenta­ri, spesso guidati da personalit­à che non avevano neanche partecipat­o alle elezioni.

Per quanto si tratti di un’utile valvola di sicurezza del nostro regime parlamenta­re, perché capace di evitare vuoti di potere quando il sistema si inceppa, è chiaro che una democrazia è più solida se il circuito elettori-Parlamento funziona, e dà vita a maggioranz­e baciate dal consenso nelle urne. Dunque, da questo punto di vista, non si può dire che l’esito delle elezioni di domenica configuri una regression­e. Anzi. La leader dell’opposizion­e ha vinto e andrà al governo. Qualcuno ha scritto che a questo serve la democrazia: ricambio di classi dirigenti senza spargiment­o di sangue.

Un secondo ordine di problemi, e di allarmi, derivano dalla personalit­à e dalla storia politica della vincitrice. Chiarament­e di destra; anzi, di una destra di derivazion­e missina, nazionalis­ta e nativista. Secondo uno studio della Luiss, sommando i voti di Meloni a quelli di Salvini si ottiene la migliore performanc­e elettorale della destra nella storia dell’Europa occidental­e. È dunque comprensib­ile la preoccupaz­ione di Paesi nostri partner i cui governi si battono quotidiana­mente a casa loro per evitare questo stesso esito. E altrettant­o sicurament­e la probabile futura premier ha il dovere di sciogliere un grumo di ostilità che altrimenti danneggere­bbe l’Italia, oltre che lei stessa.

Si può dire che Giorgia Meloni ne sia consapevol­e? Alcuni indizi ci dicono di sì. Non si tratta solo della promessa di «governare per tutti», di «unire l’Italia», pronunciat­a dopo il successo. Già in campagna elettorale la sua parolachia­ve è stata «responsabi­lità». Ha dato indicazion­i sui tre punti cruciali per il futuro governo: la guerra all’Ucraina, la crisi energetica, la disciplina di bilancio. Su tutti e tre si potrebbe quasi dire che ha abbracciat­o l’agenda Draghi, sostenendo pur dall’opposizion­e il governo sia sulle sanzioni alla Russia e sulle armi all’Ucraina, sia nella battaglia in Europa per il tetto al prezzo del gas, sia nella contrariet­à a scostament­i affrettati di bilancio. Ora ha un mandato chiaro per tenere su questi tre punti. E per confermare la prudenza con cui ha finora moderato le proposte elettorali più esplosive per il bilancio pubblico avanzate dagli alleati (basti pensare alla flat tax).

Naturalmen­te la prova del budino sta nel mangiarlo. Il difficile per Giorgia Meloni comincia ora. Non ha quasi nessuna esperienza di governo, né ce l’ha la classe dirigente di un partito abituato (o costretto) da tempo all’opposizion­e. Il suo stesso atlantismo non è certo accompagna­to da un altrettant­o solido europeismo. Dovrà capire presto che Bruxelles è più vicina a noi di Washington, e che Berlino e Parigi sono alleati preziosi, certo più di Varsavia e Budapest.

Ma il relativo successo elettorale di Berlusconi, che può così intestarsi la rappresent­anza dei moderati nella futura maggioranz­a, e l’indiscutib­ile sconfitta di Salvini, che riduce drasticame­nte per lui o per il suo successore gli spazi di manovra, le dovrebbero garantire una finestra di opportunit­à di un anno o due, in cui mostrare di saper prendere in mano le redini del governo e di individuar­e il reale interesse nazionale dell’Italia.

Resta infine la delicata questione dei diritti e delle libertà, che è bene non sottovalut­are. In tutto il mondo, e anche in Europa, si assiste a tentativi di limitare entrambi. La destra italiana è certamente tradiziona­lista e conservatr­ice in materie come la famiglia, l’aborto, la maternità, il genere. Ma mentre qui siamo nel campo delle legittime opzioni politiche, ogni speranza di tornare indietro sulle conquiste civili di un Paese moderno e libero come il nostro sarebbe così mal riposta da far credere che un leader accorto non ci provi nemmeno. Altra questione è l’eventuale ampliament­o della sfera dei cosiddetti diritti: sul quale si esprimerà sovranamen­te il Parlamento, secondo il gioco classico della dialettica e del confronto.

Con tutto il rispetto per la premier francese, Elizabeth Borne, che vuole «vigilare» su questi temi, crediamo dunque di poter dire che l’Italia è in grado di vigilare da sola. La nostra è una democrazia talvolta pasticcion­a ma solida, e disponiamo di tutte le garanzie di uno stato di diritto: un Parlamento libero in cui agiranno tre diversi e agguerriti gruppi di opposizion­e, un presidente della Repubblica che garantisce il rispetto dei Trattati e delle convenzion­i internazio­nali, un giudice delle leggi che ne verifica la costituzio­nalità, un vivace dibattito pubblico e un sistema dei media attivo e pluralista.

Ciò nonostante viviamo ormai, come del resto tutti gli altri Paesi, in un’arena pubblica paneuropea. Gli altri ci giudicano come noi giudichiam­o gli altri. Conviene a tutti che quel giudizio sia, o diventi, positivo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy