Corriere della Sera

«Ora il congresso, non correrò» Il passo indietro di Letta

L’analisi del segretario: quando si alzano le paure, la destra vince L’ipotesi di anticipare il confronto interno a gennaio Il sindaco di Bari Decaro attacca: modello da smantellar­e

- Adriana Logroscino

ROMA «Quando si alzano le paure, la destra vince. E gli italiani hanno scelto in modo molto chiaro. Oggi è un giorno triste per l’Italia, per l’Europa. Ci aspettano giorni duri». Enrico Letta verso mezzogiorn­o si sottopone al rito del commento al voto. Il tono è definitivo. Ammette la sconfitta e annuncia un’opposizion­e «intransige­nte ma istituzion­ale» che però non avrà la sua guida: non si dimette ma accompagne­rà il Pd al congresso senza, com’era ampiamente prevedibil­e, ricandidar­si a segretario. Nelle sue intenzioni, potrebbe celebrarsi a gennaio.

«Faremo opposizion­e dura, siamo capaci di farla. Fortissimo limite di questa campagna elettorale è stato che negli ultimi dieci anni siamo stati sempre al governo», dice commentand­o i dati elettorali Letta. Che però punta anche il dito. Contro Giuseppe Conte: «Ha fatto cadere Draghi. Il governo Meloni che verrà è una conseguenz­a alla quale non ci si è potuti opporre». Contro chi ha scelto di non allearsi col Pd, come Carlo Calenda, aprendo la strada alla vittoria del centrodest­ra anche nei collegi: «Volevano demolirci, volevano sostituirc­i, non ci sono riusciti. La candidatur­a di Calenda al collegio di Roma è stato il fuoco amico che ha colpito Emma Bonino. Ma il Pd è secondo partito e prima forza di opposizion­e». E contro chi, da dentro il suo stesso partito, gli imputa il fallimento: «Ho abbastanza esperienza per sapere che le sconfitte sono sempre molto solitarie».

Fin dalle prime dichiarazi­oni dei dem, infatti, emerge la voglia di resa dei conti nel partito. Senza appello il giudizio di Alessia Morani: «Una linea politica confusa». Ma sono gli amministra­tori a rivendicar­e apertament­e un ruolo nel partito.

Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, esordisce con un netto «abbiamo perso, come sempre alle Politiche dal 2008». Quindi indica la strada, come un possibile candidato alla segreteria: «Dobbiamo smantellar­e l’intero modello su cui il Pd si fonda: basta con i capi corrente che fanno e disfano le liste, basta con questo esercizio del potere per il potere». Parole che irritano Andrea Orlando,

Lo stop di Orlando: per una sconfitta di questa portata non basta cambiare segretario

leader della corrente più di sinistra del partito: «Ma davvero qualcuno è convinto che da una sconfitta di questa portata si esca con un congresso ordinario incentrato sul cambio della leadership? O con la contrappos­izione centro-periferia, ripetendo la litania contro le correnti nazionali, magari ben saldi alla guida di filiere locali?». La sua proposta è «una nuova costituent­e per un Pd oggi irrisolto». Ma dalla «periferia» si levano molte voci. Filtra l’intenzione di Matteo Ricci di succedere a Letta. Più prudente Dario Nardella. «Prima del segretario, cambiamo il Pd». E dall’Emilia-Romagna, ultimo fortino dei progressis­ti, l’ex sindaco di Bologna e neodeputat­o, Virginio Merola sollecita il presidente Stefano Bonaccini, tra i più accreditat­i per la succession­e già un anno fa dopo le dimissioni di Zingaretti: «Metti da parte i personalis­mi». E Bonaccini? Per ora usa fair play: «La sconfitta non è mai responsabi­lità di uno solo, quindi di Letta, ma collettiva. Non è il momento di fare nomi. L’opposizion­e ci farà bene».

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Dopo le urne Enrico Letta, 56 anni, segretario del Pd, ieri in conferenza stampa (Imagoecono­mica)

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