Il Maradona d’Asia invita alla rivoluzione «Non abbiate paura»
Ali Karimi, ex Bayern, nel mirino del regime
Sobillatore della plebe. È con questa accusa che le Guardie della rivoluzione stanno dando la caccia a una leggenda dello sport mediorientale: Mohamed Ali Karimi Pashaki, 43 anni, ex centrocampista iraniano con buoni trascorsi nel calcio europeo (33 presenze e tre gol con il Bayern Monaco nelle stagioni 2005-2007, un provino con il Perugia di Gaucci) ed ex capitano dell’Iran, nel 2004 quarto iraniano ad aggiudicarsi il pallone d’oro di quella parte di mondo e da allora soprannominato il Maradona d’Asia. Jadoogar, il mago in farsi.
La grave colpa di Karimi è non aver avuto paura di scendere in campo sui social per sostenere le proteste che stanno incendiando il suo Paese dalla morte di Mahsa Amini, picchiata per aver indossato male l’hijab. Ai quasi 500 mila
follower su Twitter e ai 12 milioni su Instagram, Ali ha mandato messaggi di incoraggiamento postando i video dei disordini in piazza, degli arresti, delle percosse della polizia per la Morale: «Sono un cittadino iraniano e non inseguo nessun incarico per il mio attivismo — ha scritto —, vorrei solo la pace e la prosperità per il mio popolo».
Domenica, per la decima notte consecutiva, la Repubblica islamica è stata attraversata dalle manifestazioni, a Teheran la folla ha chiesto la testa della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, 83 anni, al grido di «morte al dittatore». Karimi è stato tra i primi personaggi pubblici ad addossare la responsabilità della morte di Mahsa Amini alla polizia per la Morale, invitando chi lo segue a credere soltanto alla versione della famiglia. Da allora il mago, considerato una leggenda in Iran dove il calcio è sport nazionale, ha divulgato la sua verità: «Abbiamo imparato che queste sono bugie: i turchi in Azerbaigian non sono razzisti, i Rashtis non mancano di onore, i curdi non sono un problema di sicurezza... Bugie diffuse per dividerci». Karimi ha anche spiegato come utilizzare le Vpn (reti private virtuali) per aggirare il blackout di Internet e condividere in sicurezza i filmati online e ha invitato l’esercito tradizionale iraniano (Artesh) a schierarsi con il popolo per evitare altre morti inutili («Non permettete che il sangue degli innocenti sia versato»). Ali non è nuovo a gesti di rottura: lo Steel Azin di Teheran l’aveva licenziato per il rifiuto di fare il digiuno di Ramadan e durante un incontro di qualificazione al Mondiale 2010 tra Iran e Corea del Sud, insieme ad altri nazionali aveva indossato una fascia verde come dimostrazione di sostegno al leader dell’opposizione, Hossein Moussavi, che aveva accusato il governo iraniano di brogli nelle elezioni del 2009.
Fars News Agency, agenzia di stampa filogovernativa, invita i pasdaran ad occuparsi del «nuovo leader dell’opposizione», nel frattempo diventato allenatore (ultimo ruolo ricoperto, head coach del Sepidrood, squadra di Rasht, capitale della provincia del Gilan, sollevata dal fondo della classifica e portata a giocare la lega del Golfo persico). «Per quanto riguarda la campagna contro di me sul sito Fars e la raccolta di 97 mila firme contro di me, qui vi chiedo: il sostegno alla gente della mia terra era sbagliato?», chiede Ali Karimi nell’ultimo tweet pubblicato ieri pomeriggio. Ma ormai la caccia alla stella del calcio è lanciata. Guardie della Rivoluzione contro il Maradona d’Asia, una partita impari. Lui non si arrende, posta: «Non abbiate paura delle donne forti. Potrebbe arrivare un giorno in cui saranno il vostro unico esercito».
Ribelle
Lo Steel Azin lo aveva licenziato perché si rifiutava di fare il digiuno di Ramadan