Van Gogh, l’ultimo mistero
Con l’espediente letterario del diario ritrovato lo storico che da anni studia il pittore ora gli dà voce per Solferino Marco Goldin racconta il genio olandese e sfata luoghi comuni. A partire dalla pazzia
«Icontadini stanno per tagliare il grano, sto finendo di dipingere alcuni quadri di campi. Saranno gli ultimi ormai per questa stagione… Mi sento in uno stato d’animo perfetto per dipingere tutto questo che vedo, finché la lontananza da verde si fa azzurra e si capisce che il cielo è il nostro principio e la nostra fine. Il luogo in cui ci addormenteremo. Lì, qualcosa di sacro accade. Da sempre, da quando noi tutti siamo».
Vincent van Gogh resta un mistero. I suoi quadri sono i più conosciuti, fotografati, iconici della storia dell’arte. Ma il suo fuoco arde per una brevissima stagione. Il suo genio si crea, si forma, si esprime del tutto al di fuori dalle scuole, dalle accademie, dal mercato. È vero che ha un fratello mercante d’arte, Theo; ma neppure lui riesce a seguirlo, e a salvarlo, nonostante il fitto carteggio che intrattiene con Vincent. Come Van Gogh abbia trovato, dopo aver esplorato tante strade, quella giusta per esprimere il proprio talento, e come quella strada sia stata interrotta da una morte precoce, resta il fulcro del suo mistero.
Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato offre una chiave di risposta a questo enigma. L’ha scritto Marco Goldin, l’ha pubblicato Solferino. L’autore ha dedicato a Van Gogh e al suo tempo mostre di enorme successo di pubblico. Lo studia da venticinque anni, gli ha dedicato la prima vera biografia italiana e un romanzo, I colori delle stelle (Solferino), incentrato sul legame tra Van Gogh e Paul Gauguin.
Ora Goldin esplora gli ultimi giorni di Van Gogh attraverso le sue stesse parole.
L’escamotage letterario che dà il via alla narrazione è quello di far ritrovare dal titolare della locanda di Auvers-sur-Oise, la località a nord di Parigi dove si trovava il pittore, un diario che va dal 1890 fino al giorno della morte. Il raci conto si snoda tra avvenimenti realmente accaduti e approfondisce aspetti di carattere psicologico. Partendo da una premessa: a dispetto di quel che è stato scritto e sostenuto, Vincent van Gogh non era pazzo.
Attraverso flashback il lettore si trova a ripercorrere episodi della sua infanzia, il rapporto con i genitori, con Dio, con il fratello. E uno dei passaggi più emozionanti del libro è proprio il commiato da Theo: «Se troverai questo mio diario, scoprirai alcune cose di me che non ti avevo mai scritto nelle lettere che ci siamo scambiati in tutti questi anni. Alla fine, la piena consapevolezza che non occorra essere pazzi per andarsene dal mondo, perché non sono i pazzi a farlo. E invece serve lucidità, calma e una decisione che si deve prendere dopo avere capito come non vi sia altra strada se non questa».
Il libro nasce anche dall’intenzione dell’autore di superare i tanti luoghi comuni sul grande pittore, che lo vogliono povero e matto, per restituire le tante sfumature della sua sensibilità e della sua opera. Le pagine di Goldin sono segnate dai colori e dalla forza della natura. La scrittura stimola continuamente i sensi dei lettori: si alternano nelle pagine le descrizioni di cieli stellati, notti immense, ulivi, montagne, mandorli in fiore, boschi spazzati dal vento, luce. Un libro da leggere avendo sotto gli occhi
quadri di Van Gogh.
La natura è per il pittore un rifugio: a un certo punto descrive «i campi di grano dove buttarmici in mezzo per stare a galla in mezzo alle onde». La lettura de Gli ultimi giorni di Van Gogh è anche un’immersione nelle cose, e nella necessità «di stringersi al cuore del grande universo».
Il pretesto letterario del diario risponde proprio al tentativo di dare voce al maestro direttamente, di distruggere i pregiudizi legati alla sua figura. Fino alla fine, agli ultimi tragici momenti della sua vita, poco prima del suicido, quando Van Gogh dice che Dio non lo perdonerà per la sua vita ma forse lo salverà la sua arte: «Ho sempre pensato che [Dio] avrebbe potuto benedire la mia pittura. Riconoscere in essa lo sforzo immane di un uomo solo, dedicato alla poesia del colore, a raccontare la storia dell’uomo attraverso due occhi che sono sprofondati nell’anima».