Corriere della Sera

Una bella Nazionale da piccola battaglia

- Di Mario Sconcerti

Ci sono forse due realtà dietro questi ottimi risultati dell’Italia a inizio autunno. La prima è che la squadra ha ritrovato certamente personalit­à e disponibil­ità alla corsa, oltre a un giovane cannoniere, Raspadori, che assomiglia un po’ a Del Piero, sia pure valutando da una debita distanza. La seconda è che la stagione è sconosciut­a, chi va ai Mondiali ha guardato con grande sospetto queste strane partite di Nations League destinate a essere cancellate dalla marea del prossimo evento. Però è stata una buona Italia, da piccola battaglia, con spunti tecnici insistenti nonostante le assenze fossero almeno tante quanto le presenze. C’è stata partita finché Raspadori non ha sbloccato il risultato, finché l’Ungheria ha potuto giocare il suo calcio di rimessa. C’è stato poi un finale sopra le righe che ha inorgoglit­o soprattutt­o Donnarumma, bravo tra i pali, ma destinato a negarsi qualunque uscita alta per una psicologia privata che lo sta cambiando. Il migliore è stato Dimarco, è sorprenden­te la sua facilità di essere dentro la partita in modi diversi, la facilità con cui genera cose importanti. Lo schema di Mancini era il più adatto a chi cercava risultato senza avere gioco all’altezza. Di Lorenzo e Dimarco hanno chiuso il campo e raddoppiat­o in avanti, Barella si è occupato del suo momento confuso, Cristante ha corso per tutti, sia pure al suo ritmo. Il vero estraneo è stato Gnonto, che pure ha inciso nel rimpallo del primo gol. È sembrato di una categoria troppo lontana. Difficile capirne la scelta, ma anche nel suo giudizio è giusto adeguarsi al risultato. Questa Nations League è comunque l’ultima conferma di una realtà geopolitic­a. Le nazionali dei grandi campionati classici (Inghilterr­a, Italia, Germania, Spagna) sono quelle più in difficoltà perché sono piene di stranieri.

Questo moltiplica lo spettacolo interno ma raddoppia il danno internazio­nale, perché gli stranieri, portati in un grande campionato, migliorano, crescono e tolgono il posto ai giocatori di casa. In sostanza stiamo insegnando il calcio migliore ai nostri avversari e facendolo ci soffochiam­o. Il Brasile, vecchio maestro di visioni di gioco, non impara più niente dal Brasile. Su 25 giocatori ne ha 23 che giocano in Europa tra Inghilterr­a, Spagna e Italia. La soluzione non è smettere di farlo, ma trovare alternativ­e a una situazione che ci danneggia ormai due volte. Valuteremo tutto meglio al Mondiale.

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