Gassmann violento e vendicativo: «Non vedevo l’ora di interpretare il ruolo del cattivo»
«Mi sono divertito a essere usato per la prima volta per quello che sono, un omone di 1 metro e 93, in un film di pura azione. Adoro il cinema di genere come spettatore. Non vedevo l’ora di interpretarne uno. E spero succeda di nuovo». Per Alessandro Gassmann un ruolo da villain, agli antipodi dei suoi personaggi più popolari, come l’ispettore Lojacono del commissariato di Pizzofalcone. È Salvo, il protagonista di Il mio nome è Vendetta di Cosimo Gomez, con Ginevra Francesconi e Remo Girone, da domani su Netflix. Un ex affiliato della ’ndrangheta che si è rifatto una vita, sotto falsa identità tra le montagne dell’Alto Adige. «Si è lasciato alle spalle un passato doloroso e violento, si è fatto una famiglia.Ha una moglie e una figlia adolescente che ama molto. Il ritorno, casuale, di un orrore dal passato risveglia la violenza sopita, lo obbliga a mettersi in azione e a risolvere brutalmente il torto che ha subito». Il castello bucolico costruito tra i boschi crolla di botto. «La violenza scaturisce — continua Gassmann — quando cessa il ragionamento e l’istinto prevale. Un uomo che si sente in trappola reagisce con quello che conosce, nel suo caso le regole di un ambiente criminale». Non è un film sulla ’ndrangheta però avverte Gomez, che lo ha scritto con Sandrone Dazieri e Andrea Nobile. «È un classico revenge movie. La cosa inedita nel nostro caso è la scelta di far vivere questa avventura a un padre e una figlia. Che dopo lo sgomento della scoperta della vera identità del padre, dopo il rifiuto iniziale, non solo si riavvicina a lui ma accetta l’eredità della vendetta».