«Usando il vetro racconto la vita, il tempo e l’energia»
La raggiungiamo, stanca ma felice, alle prese con le operazioni di disallestimento della sua ultima mostra alla Procuratie Vecchie, a Venezia, Memory. The Light of Time, titolo emblematico perché racchiude i capisaldi della sua poetica: la luce, il tempo, la memoria. Federica Marangoni, 82 anni sfoggiati splendidamente con l’entusiasmo e la progettualità di una ragazza, è artista e designer internazionale, con base a Venezia e il cuore a Murano, che ha fatto del vetro e della sua relazione con la luce la cifra della sua poetica.
Da questi elementi traggono ispirazione anche le sue due installazioni che saranno presenti a Bergamo, nel percorso di Light is life. Festa delle luci A2A: «The Time machine», e «Go Up». Due titoli incisivi, come piacciono a lei: «Nelle mie opere nasce prima il concetto, a volte persino il titolo. La creazione avviene di conseguenza», spiega. «Io lavoro in modo semplice, procedo per simboli: il messaggio deve arrivare chiaramente. Se questo non succede, il mio lavoro è fallito». Nelle due installazioni che vedremo, il grande filo conduttore del racconto è la vita: «Che include il tempo, e la nostra relazione con esso e con quello che ci resta. Alla mia età, è un tema naturale». Ecco allora, nella biblioteca musicale Gaetano Donizetti, nel chiostro minore, l’opera «The Time Machine», una clessidra dorata alta 3 metri, fortemente simbolica: «É un oggetto che si adatta alla mano, la giriamo, la voltiamo. É il nostro tempo che scorre: questa volta, al posto della sabbia, c’è la luce». Una «materia» che lei usa da sempre, unita al vetro: «Per me è imprescindibile, perché sa rendere viva la sua trasparenza e fragilità».
Tra le varie opere che animeranno la Rocca, vedremo anche la sua «Go Up». «Credo che nel titolo ci sia tutto senza bisogno di spiegazioni», dice. Una scala alta oltre 12 metri, un tubo al neon riempito con sfere di vetro che sembrano in moto perpetuo: «É un segno forte: la scala significa ricongiunzione, risalita a un livello “altro” al quale noi inconsciamente tendiamo. Il nome Go Up è I’invito ad aggrapparsi alla scala, accettando di salire verso una nuova fase della nostra vita».
Scale come topos ricorrente: nella sua arte (basti pensare a Il sogno di Giacobbe, scala luminosa creata per la Biennale 2001, davanti alla chiesa della Salute a Venezia) ma anche nella vita, fatta di occasioni da cogliere, di scale da salire. Come si intuisce ascoltando i suoi programmi futuri: «Sto già lavorando a un’opera con led e parole in movimento per l’edizione 2023 di Bookcity. E poi, per il 2024, ci sarà un’antologica, che racconterà la mia presenza ininterrotta da 53 anni a Murano. Alla mia età arriva il momento in cui si sente il bisogno di un riepilogo della propria vita», racconta e conclude: «Mia madre, che era poetessa, diceva “non bastano i giorni”. Ecco, oggi dico che vorrei averne di più. Ma non mi fermo, e guardo al futuro».