SE SU TWITTER PARLA «LA VOCE DEL PADRONE»
«Vox populi, vox dei». Nella sua bulimia mediatica il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk, ha mostrato di conoscere il monito latino che forse è nato dalle parole della Bibbia e che tanto era amato da Alessandro Manzoni. E la sua citazione colta mostra anche un’altra cosa: il dibattito che uno degli uomini più ricchi del mondo sta scatenando attraverso quello che ora è un suo media (ne è dunque tecnicamente «l’editore») potrebbe essere snobbato come argomento minore, da intellettuali à la carte, ma è invece un termometro del valore dell’informazione moderna. Alexis de Tocqueville diceva che «la democrazia è il potere di un popolo informato». Democrazia e informazione sono in effetti due facce della stessa moneta, come le due particelle entangled — cioè «avviluppate» come lo gnommero de sberretà, il gomitolo di Carlo Emilio Gadda — che sono valse il premio Nobel per la Fisica 2022 ad Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger: le possiamo allontanare anche di milioni di chilometri, ma rimarranno in «comunicazione». Ora nell’informazione accelerata di Twitter vincono i campioni della brevità. Ma lo gnommero della democrazia diretta rimane difficile da districare, anche per Musk che, dopo aver ricevuto il 72% di risposte positive al suo sondaggio sulla riammissione degli account sospesi da Twitter (leggi Donald Trump), ha sentenziato che «la voce del popolo ha parlato». Riammettere tutti. Musk ha 119 milioni di follower. Non pochi. Sono numeri degni di un presidente Usa. Però dimentica una caratteristica genetica dei social network: i sondaggi fatti tra i propri follower non sono rappresentativi perché eseguiti all’interno di una popolazione omogenea. Peraltro le risposte (60 mila, non 119 milioni) sono tipicamente quelle delle falangi armate. Nulla da eccepire: Musk ha comprato Twitter. Può decidere. Ma la voce resta quella del padrone, non del popolo.