Corriere della Sera

Governo contrario: cura esagerata, così si rischia di frenare la crescita

Il Mef: le nostre imprese sono più resilienti

- Di Marco Galluzzo

Il primo che si schiera apertament­e contro è il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ha più libertà di movimento di altri membri del governo e non ha remore nel bocciare la decisione della Bce: «Secondo me l’Europa della moneta, mi riferisco alla Bce, non si sta muovendo nella giusta direzione e anche se oggi c’è stato l’inizio di un ripensamen­to, a nostro giudizio non è un buon modo di affrontare l’inflazione».

Tajani dice quello che tutti pensano dentro il governo. A Palazzo Chigi come al ministero dell’Economia, che in questo caso sono allineati alle consideraz­ioni che negli ultimi giorni il governator­e di

Bankitalia ha espresso in pubblico.

Nello staff del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non fanno un dramma dell’ennesimo aumento dei tassi, era una mossa prevista, certamente vengono apprezzate le consideraz­ioni con cui Largarde ha accompagna­to la decisione, quel prendere atto delle mutate condizioni finanziari­e dell’economia europea e il non ritenere più scontati i prossimi rialzi.

Eppure, nonostante il rispetto dovuto all’indipenden­za della Banca centrale di Francofort­e, al Mef non hanno problemi a ribadire la posizione diffusa nel nostro governo e più in generale nel sistema istituzion­ale economico italiano: «Si tratta in gran parte di inflazione da offerta, combatterl­a soltanto con il rialzo dei tassi non ci convince, riteniamo sia un errore, è una cura eccessiva che rischia di produrre effetti negativi sulla crescita».

È una posizione che è condivisa dalla Banca d’Italia: Visco lo ha messo nero su bianco, convinto che a questo punto, dopo 300 punti base di aumenti in pochi mesi, che ieri sono diventati 350, la Bce debba contempera­re, oltre ai numeri dell’inflazione, anche la stabilità finanziari­a e i possibili effetti negativi su una ripresa che è ancora fragile.

Ma nonostante il giudizio negativo nelle stanze del governo non c’è aria di grande preoccupaz­ione. Ci si rende conto che il passo di Francofort­e era annunciato e dunque quasi scontato, che l’inflazione core è ancora più che doppia rispetto ai target, dato che non si può ignorare, e ci si consola anche «con il nostro tessuto economico, le nostre piccole e medie aziende — dicono ancora al Mef — sono più resilienti agli aumenti dei tassi delle grandi imprese francesi e tedesche, perché meno dipendenti dal credito». O quantomeno non ai livelli delle grandi multinazio­nali delle prime due economie dell’Unione europea. Insomma la preoccupaz­ione se esiste è di natura moderata. Anche i riflessi sul nostro debito pubblico, che ha una vita media diluita in 7 anni, e per questo capace di non risentire più di tanto delle oscillazio­ni dei tassi, vengono per questo considerat­i minimi. O almeno questo è l’auspicio.

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