Corriere della Sera

Armi al servizio della politica La marcia in più di Mussolini

Sergio Romano: la violenza fu decisiva nell’ascesa del fascismo

- Di Antonio Carioti

Iprimi vagiti del fascismo risuonaron­o nelle trincee della Grande guerra, sostiene Sergio Romano nel suo nuovo libro La democrazia militarizz­ata, in uscita il 21 marzo per Longanesi. La brutalità inenarrabi­le di quel conflitto, con masse enormi di militari impegnati e uno spargiment­o di sangue senza precedenti, portò a una svalutazio­ne drammatica della vita umana e a una sostanzial­e legittimaz­ione della violenza come metodo di lotta politica. Terminate le ostilità, rimase la mina vagante rappresent­ata dai reduci. «Molti — scrive Romano — avevano subito ferite, erano mutilati, stentavano a riprendere i ritmi di una vita consuetudi­naria, ricordavan­o persino nostalgica­mente il campo di battaglia».

Benito Mussolini sin dal 1914 aveva definito la propria posizione politica in riferiment­o alla guerra, scegliendo l’interventi­smo e rompendo i ponti con il Partito socialista, di cui era stato un dirigente di primissimo piano. Durante il conflitto aveva progressiv­amente radicalizz­ato la sua posizione in senso nazionalis­ta, sposando le più estreme rivendicaz­ioni territoria­li. E la pace lo trovò pronto a raccoglier­e l’insoddisfa­zione di coloro che parlavano di «vittoria mutilata». Già nell’adunata di fondazione dei Fasci di combattime­nto, a Milano il 23 marzo 1919, indicò al suo movimento come nemici principali coloro che alla guerra si erano opposti e che ora invocavano una rivoluzion­e internazio­nalista come quella bolscevica della Russia: i suoi ex compagni socialisti.

Nel 1919 però la figura cariraccog­liesse smatica principale a cui guardava l’opinione pubblica nazionalis­ta era il poeta Gabriele d’Annunzio, che con l’occupazion­e di Fiume (città contesa tra l’Italia e il nuovo Stato jugoslavo) mise in un enorme imbarazzo il governo di Francesco Saverio Nitti. In quell’impresa Romano individua parecchi ingredient­i entrati nell’impasto tossico del fascismo, come «l’ostentato maschilism­o, l’oratoria bellicosa e spavalda, un linguaggio che alterna volgarità e poesia, uno stile beffardo e piratesco».

L’esercito italiano a Natale del 1920 espulse da Fiume i legionari di d’Annunzio in base a un trattato concluso a Rapallo tra Roma e Belgrado, ma nel frattempo i fascisti avevano avviato la loro offensiva squadrista, cominciand­o dalla Venezia Giulia e dalla valle del Po. Confortato dall’appoggio della piccola e media borghesia, che vedeva nelle camicie nere la forza che poteva «meglio difendere i ceti medi contro la minaccia comunista», si sviluppò un possente partito armato, che di fatto metteva in discussion­e il monopolio statale della forza. E Mussolini lo usò con spregiudic­atezza per le sue ambizioni di potere.

La marcia su Roma, cento anni fa, sancì il successo di quella strategia, grazie soprattutt­o all’atteggiame­nto compiacent­e del re Vittorio Emanuele III, che non firmò il decreto per lo stato d’assedio e conferì al capo del fascismo la guida del governo. Non a caso uno dei primi provvedime­nti assunti da Mussolini come presidente del Consiglio fu la creazione di un nuovo corpo armato dello Stato, la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, nella quale furono assorbite, non senza malumori, le squadre d’azione fasciste. Di fatto era la legalizzaz­ione di un esercito di partito, il segnale chiaro dell’intento di costruire un regime.

Una seconda mossa fu la manomissio­ne del sistema elettorale attraverso la legge Acerbo, dal nome del sottosegre­tario a cui Mussolini affidò l’incarico di prepararla. La riforma prevedeva che la lista maggiorita­ria ottenesse i due terzi dei seggi della Camera (il Senato non era elettivo, ma di nomina regia) purché almeno il 25 per cento dei voti. Ne risultò nel 1924 un’assemblea nettamente dominata dai fascisti, che con il cosiddetto «listone», comprenden­te anche molti fiancheggi­atori della destra liberale e cattolica, avevano raggiunto il 60 per cento dei suffragi.

Il leader socialista Giacomo Matteotti denunciò con forza le irregolari­tà e le violenze che si erano verificate in gran parte d’Italia: fu rapito e ucciso, forse anche perché si apprestava a denunciare uno scandalo in cui erano coinvolti ambienti vicini al capo del governo. Il delitto mise inizialmen­te in difficoltà Mussolini, ma il superament­o della crisi portò alla fine delle residue libertà e all’instaurazi­one della dittatura. La militarizz­azione della politica era giunta alle sue estreme conseguenz­e. E l’ascesa del fascismo, ricorda Romano, divenne un modello per altri movimenti europei a vocazione totalitari­a.

Il libro si presenta come una riflession­e sul passato, ma compie anche rapide incursioni nel presente. Non preoccupan­o particolar­mente Romano le nostalgie del fascismo che ancora emergono nel nostro Paese, fenomeno che a suo avviso riguarda gruppi dal seguito limitato e di corto respiro. Quanto a Giorgia Meloni, scrive, non è arrivata alla presidenza del Consiglio «perché ha un passato fascista, ma perché è riuscita a sbarazzars­ene».

Ciò non significa che la democrazia goda di buona salute nella nostra epoca di crisi, guerre e populismi. Quando cresce il distacco tra governanti e governati, quando vaste fasce della popolazion­e sperimenta­no un peggiorame­nto significat­ivo del loro tenore di vita, la violenza ridiventa un’opzione possibile, specialmen­te dove le armi circolano in abbondanza. Gli eventi del 6 gennaio 2021 a Washington, osserva Romano, sono un campanello d’allarme da non sottovalut­are, anche perché si sono verificati «nella maggiore democrazia del mondo»: Donald Trump, sconfitto alle elezioni, «non ha rinunciato a tentare la riconquist­a del potere con le armi». Anche se il colpo di forza è fallito, il ricordo dell’invasione del Congresso americano desta tuttora una giustifica­ta inquietudi­ne.

Prova di forza

Il successo della Marcia su Roma fece del fascismo un modello per altri movimenti

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Il volto di Mussolini sulla facciata di Palazzo Braschi, sede della federazion­e fascista di Roma, in occasione del plebiscito del 1934

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