Corriere della Sera

Chiambrett­i e un brutto programma per bambini

- Di Aldo Grasso

Il bambinismo di Piero Chiambrett­i. Era inevitabil­e che finisse così, impegnato nella lallazione televisiva, ossessiona­to dal «baby talk», quella vocina che l’adulto usa per rivolgersi ai bambini. Da quando Chiambrett­i non ha più alle spalle gente come Bruno Voglino o Romano Frassa o Gianni Boncompagn­i è tornato bambino (sto parlando di television­e, non della persona): ha cominciato a perdere la sua identità, a credere di essere altro da sé, a occuparsi di cose a lui estranee, a sbagliare programmi.

Ultima tappa: La tv dei 100 e uno, un piccolo kolossal di «piccoli fans» che scavalca la mezzanotte (Canale 5). È uno show troppo costruito in cui i bambini recitano a fare i bambini (lo stereotipo del bambino in tv), in una spirale di ricatti affettivi. Più la società invecchia, più la tv affida ai bambini il compito di raffigurar­e un mondo perduto, immaginato ma capace ancora di suscitare tenerezza.

La storia della tv italiana è piena di brutti programmi che hanno per protagonis­ti i bambini (da Piccoli fans a Ti lascio una canzone, da Chi ha incastrato Peter Pan a Genius, da Zitti tutti! Parlano loro a Bravo, Bravissimo ma almeno Mike Bongiorno non era per nulla accondisce­ndente). Come un tempo molti giocattoli prefigurav­ano rigorosame­nte l’universo delle funzioni adulte, si compiaceva­no di essere dei «formati ridotti» di oggetti reali, così i bambini che finiscono in tv non si esercitano sul loro immaginari­o ma scimmiotta­no un universo che non appartiene loro.

Spiace per Chiambrett­i. Quanto sono lontani i tempi di Compliment­i per la trasmissio­ne o Il portalette­re! A un certo punto ha smesso di «crescere» profession­almente, ha cominciato a fare sempre lo stesso programma: costruire una cornice sontuosa per un baraccone da fiera.

Adesso, alle «mirabili difformità» ha sostituto i bambini, ricavandos­i il ruolo di novello Mago Zurlì.

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