Passa la linea Meloni-Mantovano Così la premier ha imposto l’accelerazione
Ma ha salvaguardato il ruolo di Giorgetti
Una vittoria piena, ma senza strappi e senza forzature. Dopo giorni di tensioni, stop e rinvii, Giorgia Meloni riesce a chiudere il giro delle nomine strategiche. La presidente del Consiglio impone la sua soluzione per i vertici della Rai, della Polizia e della Guardia di finanza. L’ennesimo rinvio non è in realtà tale, perché Palazzo Chigi ha lasciato traccia, nero su bianco, della tormentata intesa che blinda Andrea De Gennaro al comando delle Fiamme Gialle. Viste le fibrillazioni che hanno scandito la gestazione del dossier un filo di cautela è d’obbligo, ma salvo clamorosi colpi di scena al prossimo Cdm il ministro del Tesoro proporrà il nome di De Gennaro, che appena due giorni fa aveva assunto un irrituale interim. Guido Crosetto darà suo malgrado il «concerto» e dai ministri arriverà il via libera, con il quale la premier riuscirà ad assicurarsi il pieno controllo degli apparati dello Stato. «Tutte le palle sono andate in buca», è il commento soddisfatto di un meloniano di ferro.
Giorgia Meloni, in asse con Alfredo Mantovano, aveva deciso sin dall’inizio che Vittorio Pisani, nome molto gradito a Matteo Salvini e Matteo Piantedosi, avrebbe preso il posto di Lamberto Giannini come capo della Polizia, prima della scadenza del mandato. E che contestualmente sarebbe stata fatta la nomina di De Gennaro a comandante generale della Gdf, ritenuto dalla presidente e dal sottosegretario a Palazzo Chigi la personalità più adatta per tenere unito il gruppo di comando. Mantovano, che conobbe De Gennaro al Viminale quando era sottosegretario all’Interno e il fratello dell’ex capo della Polizia (Gianni De Gennaro, ndr) era componente della Commissione centrale sui programmi di protezione, ci ha messo più di una buona parola. L’idea di fondo che ha ispirato la premier è la necessità di segnare la discontinuità rispetto al passato, individuando nuovi soggetti istituzionali a cui affidarsi. La sostanza del duello può apparire brutale: se il capo della Polizia è vicino alla Lega, il comandante della Guardia di finanza non può che essere gradito a Fratelli d’Italia. A Palazzo Chigi la parola per dirlo è una sola: «equilibrio».
Ma Giorgetti e Crosetto si sono messi di traverso, prima di tutto per una questione di metodo. La scelta del capo delle Fiamme gialle spetta di diritto al responsabile dell’Economia e al ministro della Difesa tocca l’onore e l’onere della controfirma. Il braccio di ferro, sempre smentito da Palazzo Chigi quanto dal Mef, è andato avanti per giorni. Giorgetti nutriva dubbi sul profilo del successore di Giuseppe Zafarana, tanto da far sapere di aver consultato il Quirinale. «Ma non è mai stato contrario a De Gennaro», assicurano i collaboratori.
Dopo estenuanti discussioni la premier si era presa una pausa di riflessione. Ma due sere fa ha chiamato i ministri e ha imposto l’accelerazione, per poi smussare gli ultimi spigoli in una riunione ristretta che ha preceduto il Cdm e in cui si è deciso di salvare la forma, per salvaguardare il ministro dell’Economia. Sarà Giorgetti, tornato dal G7 in Giappone, a proporre nel prossimo Cdm la nomina del nuovo comandante, «sulla base dell’accordo politico già raggiunto». E il fatto che sia scritto nel comunicato finale vuol dire che non sono ammessi ripensamenti e colpi di scena. Meloni avrebbe voluto chiudere all’unisono le nomine al vertice dei corpi dello Stato. Ma ha preferito non forzare, per non stravincere. E così ha accolto la richiesta di Giorgetti di aspettare il suo ritorno dal Giappone perché possa essere presente al Cdm decisivo.
La pausa
Era stato il ministro dell’Economia a frenare consultandosi anche con il Colle