«Voglio questo scudetto Per vincere serve stile, me l’ha insegnato papà»
Michieletto, leader di Trento, si gioca il titolo
Una finale scudetto da protagonista, un’estate azzurra alle porte da campione del mondo e d’Europa, tante responsabilità. Alessandro Michieletto ha solo 21 anni, ma parla da veterano dall’alto dei suoi 211 cm. Stasera il primo match point con la maglia dell’Itas Trentino, che veste da sempre e dove è ormai leader tecnico e uomo copertina.
Eppure i successi più importanti sono arrivati solo in Nazionale.
«Con Trento ho vinto la Supercoppa e ho perso due finali di Champions, ma vorrei aggiornare presto la bacheca».
Quanto pesa questa sfida?
«La vittoria di domenica ci dà un po’ di serenità, ma per vincere a Civitanova non possiamo ripetere gli errori di gara 2».
In una stagione così strana, quando avete cominciato a credere allo scudetto?
«In club come Trento, sei sempre proiettato al meglio. Nello sport, partire sconfitti significherebbe non dare valore agli sforzi quotidiani. L’obiettivo era arrivare a giocare queste partite, le più belle. Siamo qui, ce le godiamo e daremo tutto».
È uno degli insegnamenti di suo papà Riccardo, team manager di Trento e bicampione d’Italia da giocatore?
«Uno dei tanti».
Qualcun altro?
«Con mia madre mi ha dato gli strumenti per gestire l’improvvisa notorietà e le pressioni che comporta. Ma pure cose apparentemente più banali, come ricambiare sempre l’affetto dei tifosi, anche quando vorresti solo scappare sotto la doccia. Piccole attenzioni che, insieme, fanno la differenza».
Come è cambiato il vostro rapporto?
«Quando ero nelle giovanili ci vedevamo meno. Ora siamo in palestra assieme tutti i giorni, ma ognuno rispetta il ruolo dell’altro. È un rapporto che si è evoluto nel tempo. Lui sa che ho bisogno dei miei spazi e non interferisce, io idem».
In famiglia, tra sorelle, fidanzata, zii, cugini e anche il nonno, la pallavolo è di casa.
«È un filo che ci lega, ma non è mai stata un’ossessione. Per me, mio padre, le mie sorelle ora è un lavoro che viviamo come una grande passione».
Una passione che l’ha fatta crescere in fretta.
«Prima ero un ragazzino, ora mi sento uomo. E devo essere anche attento a mantenere uno stile che un club come Trento richiede. Ma poi, diciamocela tutta, sono fortunato: sto vivendo il mio sogno».
Ha anche dovuto prendere confidenza con un fisico cresciuto all’improvviso.
«È successo tutto in pochi anni. Per fortuna l’altezza non ha inficiato sulla coordinazione; è stato più complicato mettere massa muscolare. Mi sono adattato: prima giocavo libero, avevo un baricentro più basso ed era più facile tuffarsi. Ora colpisco più in alto».
È più ansioso per il derby di ritorno della sua Inter o per questa finale?
«Vedere l’Inter vincere così all’andata è una gioia, l’ansia la tengo per le mie partite. Il calcio mi distrae in momenti adrenalinici, mi sfogo e poi torno a concentrarmi sugli obiettivi».
Quando l’hanno invitata ad Appiano e a San Siro sembrava al luna park.
«Che emozione conoscere giocatori e staff e ricevere da Zanetti la maglia col mio nome e il 5 davanti a 75mila persone che applaudivano! Ho i brividi a pensarci».
Sente ancora Barella e Bastoni?
«Ogni tanto. Mi hanno fatto i complimenti per le vittorie e anche io scrivo loro dopo qualche bella prestazione. Siamo più o meno coetanei e ci piace parlare di sport».
Che cosa sarebbe disposto a fare per scudetto a Trento e Champions all’Inter?
«Niente programmi. Se succederà, saranno festeggiati a dovere. Promesso».