«Noi donne siamo tornate indietro, è ora di cambiare»
ISTANBUL «Dopo Gezi Park Erdogan ha fatto cadere la maschera e da allora si è capito quanto ci teme». Tuba Torun ci riceve nella sua casa nel quartiere di Kadikoy, nella parte asiatica di Istanbul. È vestita di rosso, un colore che richiama i femminicidi di cui si occupa senza sosta e sui quali ha scritto un libro, uscito a febbraio, Silahiniz Kargoya Verildi (La tua arma è stata spedita) in cui racconta i casi più clamorosi che le sono capitati. «Una donna di 29 anni uccisa con 29 coltellate dal marito che poi l’ha buttata giù dal balcone. Gli inquirenti volevano farlo passare per suicidio, dicevano che si era ferita da sola tanto che aveva lasciato un biglietto.
Peccato che fosse analfabeta. Alla fine siamo riuscite a farlo condannare».
Cosa è successo dopo Gezi Park?
«Nel 2015 è stata istituita una commissione per combattere tutto ciò che ha un effetto deleterio sulla famiglia, tradotto in parole povere come mettere a tacere gli abusi che le donne subiscono in casa. Da allora è stato tutto un crescendo fino ad arrivare al 2021 quando la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul affossando così anche la legge 6284 contro la violenza domestica che da lì era nata».
Cosa è cambiato nel suo lavoro?
«Non riesco più ad ottenere i provvedimenti di allontanamento dei mariti violenti, anche nei casi di femminicidio le sentenze sono basse e gli assassini escono per buona condotta».
Quanto pesa l’islamizzazione della società voluta da Erdogan?
«Atatürk aveva creato, cento anni fa, una legislazione moderna in cui uomini e donne avevano gli stessi diritti. Purtroppo nell’Islam c’è l’idea che dobbiamo essere trattate diversamente nei tribunali. Prima non pensavamo a come vestirci per uscire. Ora sì». Ha pensato mai di lasciare il Paese?
«Le confesso di sì ma voglio continuare a lottare per la Turchia, spero tanto che domani si volti pagina. Se vinceremo, per sicurezza, non scenderò per strada a festeggiare».