Corriere della Sera

Il riscatto di Ivan il rugbista «In campo con i migranti ho capito il mio errore»

Nemer e la rieducazio­ne dopo l’offesa razzista a un compagno

- Di Alessandro Fulloni DAL NOSTRO INVIATO

SAUZE D’OULX (TORINO) Saluti, strette di mano e abbracci con quelle famiglie e quei ragazzi che partono con uno zaino e poco più. «Auguri...», «auguri anche a te». Sul piazzale della stazione bus di Sauze d’Oulx, in Val di Susa, Ivan Nemer, 25 anni, nato a Buenos Aires, «pilone» della nazionale di rugby squalifica­to a dicembre (6 mesi) dopo un brutto episodio di razzismo — il regalo di una banana a Cherif Traorè, compagno di squadra in azzurro e alla Benetton, originario dalla Guinea — è emozionati­ssimo.

A seguito di un percorso di «consapevol­ezza e sensibiliz­zazione» avviato già a gennaio dalla Fir, la Federazion­e della palla ovale, il massiccio atleta ha trascorso alcuni giorni da queste parti, tra Sauze e Bussoleno, alloggiand­o al rifugio Massi dove dal 2018 operano i medici di Rainbow4Af­rica, della Croce Rossa e i volontari di Valsusa Oltre Confine. Offrono sostegno e aiuto — un pasto, un giaciglio — a quelle decine di migranti in arrivo da Lampedusa, dal Cara di Capo Rizzuto e dai centri lungo la frontiera con la Slovenia.

Qualche ora di sosta e poi ricomincia­no il cammino. «Prendono la corriera di linea che sale a Claviere, la stessa alla quale li ho accompagna­ti io, e da qui, in qualche modo, cercano di entrare in Francia, scendendo a piedi verso Briançon», racconta Ivan che queste storie le ha apprese con i profughi, a cena, a colazione. Dividendo i pasti, rifacendo letti e pulendo stoviglie, il «pilone», aria allegra, ha raccolto drammi in «presa diretta». «Una ragazza mi ha detto di essere stata infibulata e di essere scappata per evitare lo stesso destino a sua figlia, di pochi mesi. Quasi tutti cercano di andare in Francia», ma poi succede che dall’altra parte della frontiera la polizia li blocca, rispedendo­li in Val di Susa. «Ho conosciuto un giovane fermato già cinque volte. Io vengo dall’Argentina — puntualizz­a l’azzurro divenuto italiano poco tempo fa e con il sogno dei Mondiali, a settembre — e tutto questo non lo sapevo. Sfuggono da fame, persecuzio­ni. Ma rischiano ancora la vita».

È quanto successo martedì notte, dopo il repentino peggiorame­nto del meteo. A raccontarl­o è Michele Belmondo, segretario della Croce Rossa in Val Susa che dirige un presidio qui a Bussoleno, altra tappa prevista dalla Federugby nel viaggio di Ivan i cui passi sono seguiti dall’associazio­ne «Il razzismo è una brutta storia».

«Dopo l’allarme siamo partiti in jeep alla ricerca di due gruppi in difficoltà a 2.400 metri di quota». Alcuni erano «scivolati in un crepaccio, senza lesioni. Sono stati loro — racconta il volontario mentre il “pilone”, attentissi­mo, lo ascolta — a dirci di altri dispersi poi ritrovati mezzi assiderati».

Ivan, in un garage della Croce Rossa, chiude il suo giro vedendo altri migranti ai quali, in un travolgent­e mix tra italiano e argentino, racconta come sia finito qui, tra loro. Parte da Natale «quando nello spogliatoi­o della Benetton Treviso, durante il “Secret

Santa” ci siamo scambiati doni anonimi. A Cherif io ho dato una banana che, nel sacchetto, ha finito per marcire». Cherif ha raccontato l’episodio su Instagram «puntualizz­ando l’aspetto che gli aveva fatto più male: alla vista della banana, tutti avessero riso come se fosse stata una scena normale. Però non era normale, non era solo uno scherzo: ora l’ho capito, e certo sono culpable, colpevole, al 100 per 100. L’ho capito anche ascoltando le vostre storie di sofferenza: sì, il mio è stato un gesto razzista».

Poi è la volta del rugby, quello giocato: «Dai, andiamo a fare qualche lancio» è l’invito del «pilone». Lo seguono una quarantina tra ragazzi e ragazze, tutti entusiasti. La palla ovale vola ovunque, Ivan è nel suo mondo, spiega cosa sia una mischia, la touche, la meta. Gli chiedono pure del calcio, lui sorride: «Stravedo per il Boca». Quando il cielo imbrunisce, ecco il «terzo tempo», applausi, birra e strette di mano.

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Ivan Nemer, argentino di 25 anni, in campo con alcuni migranti; in alto l’accoglienz­a all’arrivo di un gruppo di ragazzi; sotto il post con cui il compagno di squadra aveva denunciato l’atto razzista
Il campione e i ragazzi Ivan Nemer, argentino di 25 anni, in campo con alcuni migranti; in alto l’accoglienz­a all’arrivo di un gruppo di ragazzi; sotto il post con cui il compagno di squadra aveva denunciato l’atto razzista

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