L’EUROPA PER I DIRITTI DELL’UOMO
Caro direttore, sono passati 70 anni da quando il voto contrario del Parlamento francese ha impedito la nascita della Comunità Europea di difesa. A distanza di soli due anni dalla fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio i padri fondatori dell’Europa — De Gasperi in testa — vedevano nella CED il primo, autentico organismo «politico» in grado di raggiungere una vera ed effettiva federazione europea.
Come sappiamo quel processo si è fermato e l’Unione europea ancora oggi è una comunità economica più che politica, anche se da allora sono stati fatti importanti passi in avanti.
La costruzione di un continente di pace e giustizia, nel quale lo stato di diritto e i diritti fondamentali siano riconosciuti e tutelati, è uno degli obiettivi fondamentali del processo di integrazione europea e dello «spazio europeo di libertà, sicurezza, giustizia». Un obiettivo che, che purtroppo non si raggiungerà in tempi brevi ma che, passo dopo passo, potrà diventare realtà.
In questi ultimi anni, e spesso lontano dai riflettori, si sono raggiunti obiettivi che sembravano irraggiungibili. Si pensi ad esempio che, malgrado le resistenze di molti, finalmente è stato raggiunto l’accordo per l’adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Adesione che rafforzerà la tutela dei diritti fondamentali in Europa e che, tra l’altro, consentirà ai singoli cittadini di presentare ricorsi contro l’Ue dinanzi a una giurisdizione internazionale indipendente. Attualmente, infatti, questo è possibile solo in caso di violazione commesse da singoli Paesi nell’attuazione di politiche europee.
Il completamento dell’adesione alla CEDU permetterebbe anche l’armonizzazione dei diritti fondamentali sull’intero continente europeo, garantendo un’armonica coerenza tra le decisioni della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo e la Corte di giustizia europea di Lussemburgo.
Si tratta di un passo avanti perché la Corte di Strasburgo ha emesso sentenze importanti — come quelle sui diritti delle persone LGBTQI, sul funzionamento del sistema giudiziario, sulla violenza domestica e sugli standard minimi delle condizioni di detenzione — che hanno portato alcuni Paesi europei a modificare positivamente le loro politiche in queste materie.
Altra importante recente novità è l’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che mira a prevenire e a lottare contro la violenza nei confronti delle donne. Dopo diversi tentativi da parte di alcuni governi di rinviare la ratifica, a fine febbraio tutti hanno dato il loro via libera all’adesione che, dopo il voto a larga maggioranza del Parlamento europeo, dovrebbe essere formalizzata entro l’estate con voto a maggioranza qualificata del Consiglio.
Altro recente e positivo passo in avanti viene dalla recente modifica dello statuto della Corte di Lussemburgo per accelerare i tempi delle decisioni giudiziarie. La Corte sta svolgendo un ruolo sempre più importante a difesa dello stato di diritto, come dimostra, per fare un esempio, la sanzione di un milione di euro al giorno inflitta nel 2021 alla Polonia per una legge che incideva negativamente sull’autonomia e indipendenza della magistratura. Queste novità dimostrano un rinnovato interesse per il progetto di costruzione di uno spazio europeo del diritto e dei diritti.
Certo, come ci insegna la storia dell’integrazione europea, ogni obiettivo richiede «tempo e pazienza». Queste e altre novità dimostrano comunque che si stanno facendo riforme mirate a rafforzare la tutela dei diritti e migliorare la qualità della giustizia in Europa. Piccoli passi che devono essere riconosciuti e sostenuti perché potranno avere un impatto positivo sulla vita di milioni di cittadini e cittadine europei. Occorre avere la forza mite della perseveranza. La stessa forza e visione che ha animato inizialmente i padri fondatori europei.
Convenzione di Istanbul
È il primo strumento vincolante giuridicamente per prevenire e lottare contro la violenza nei confronti delle donne