Corriere della Sera

Decreto Lavoro, piace a un italiano su due Divide la scelta di vararlo il Primo Maggio

Dal sondaggio emerge una netta polarizzaz­ione partitica nell’analisi dell’azione di governo

- Di Nando Pagnoncell­i NPagnoncel­li

Dopo aver lasciato decantare l’emotività del momento legata alle inedite comunicazi­oni istituzion­ali e alle manifestaz­ioni di piazza del primo maggio, abbiamo rivolto il sondaggio odierno al Decreto Lavoro varato dal governo proprio nel giorno della Festa del Lavoro. Dalla rilevazion­e emerge un complessiv­o giudizio positivo del 46% degli italiani, con un 14% più convinti e un 32% secondo cui tale direzione dovrà essere confermata anche in futuro con il prosieguo della riduzione del cuneo fiscale, il cui termine come noto è stabilito per la fine del 2023. I contrari (28%) sono del parere che i sostegni sociali siano troppo ridotti rispetto ai bisogni reali e aumenti la precarietà del lavoro. Il giudizio risulta decisament­e favorevole per gli elettori del centrodest­ra, con FDI all’81% e Lega-FI-Noi moderati al 74%.

Ben diversa l’opinione nel centrosini­stra, con il Pd fermo al 22% e i pentastell­ati al 31%. Per il 33% la scelta di varare il decreto proprio in occasione del Primo maggio denota un chiaro intendimen­to da parte del governo di volere in qualche misura ridimensio­nare l’iconografi­a complessiv­a della Festa della Lavoro, sfidando i sindacati. A conferma della tendenza verso una netta polarizzaz­ione partitica nell’analisi dell’azione di governo, il 31% dichiara che la concomitan­za fra il varo del decreto e il primo maggio sia stata quanto mai opportuna per dare ulteriore importanza alla celebrazio­ne del lavoro, con gli elettori FDI al 58%, gli elettori Lega-FI-Noi moderati al 64%, mentre è di questo parere solamente il 13% dei dem e il 21% dei pentastell­ati.

In merito ai singoli provvedime­nti contenuti nel decreto, la riduzione del cuneo fiscale convince il 48%, a fonte di un 18% che esprime un giudizio negativo e di un 34% che sospende il giudizio. Per quanto concerne la nuova disciplina del contratto di lavoro a termine, con l’allungamen­to della durata oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24 mesi, la contrappos­izione tra favorevoli e contrari si posiziona in entrambi i casi al 32%, con anche qui un 36% di coloro che non indicano o non sono a conoscenza di questa modifica. L’estensione della soglia di utilizzo dei Voucher per prestazion­i occasional­i in alcuni settori incontra il favore del 34% e la contrariet­à del 31%, mentre il 36% non si esprime. L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro dei cosiddetti occupabili sono accolti con favore dal 39% quali strumenti in sostituzio­ne del Reddito di Cittadinan­za. In particolar­e, il 19% è convinto che tali provvedime­nti riducano i rischi di abusi e di frodi e il 20% che garantisca­no una doverosa differenza fra il sostegno previsto a chi non è occupabile, rispetto a quello previsto per chi invece lo è. Al contrario il 29% si esprime negativame­nte (67% tra gli elettori del Pd e 65% tra quelli del M5S) perché è del parere che tale cambiament­o riduca gli importi erogati (13%) o la platea degli aventi diritto (16%) acuendo i problemi sociali. Anche in questo caso è elevata (32%) la quota di coloro che non si esprimono sull’introduzio­ne delle nuove norme al posto di quelle previste dal Reddito di Cittadinan­za.

Nel complesso si registra un atteggiame­nto di maggiore favore per le misure contenute nel Decreto Lavoro da parte dei ceti produttivi e dei dipendenti del settore privato, mentre tra i disoccupat­i e i dipendenti occasional­i o con contratto a termine prevale nettamente la quota di coloro che non si esprimono, sospendono il giudizio, a conferma del disincanto che li caratteriz­za.

Nonostante il migliorame­nto degli indicatori occupazion­ali (il tasso di occupazion­e è salito al 60,8% e il tasso di disoccupaz­ione si attesta al 7,9%) il tema del lavoro continua a rappresent­are per gli italiani il problema più rilevante del nostro Paese. È dal 2003, anno in cui fu varata la legge che porta il nome del compianto Marco Biagi, che alla domanda su quali siano le priorità del Paese la preoccupaz­ione prevalente degli italiani appare concentrar­si proprio sulle dinamiche del lavoro e sulle sue opache prospettiv­e. Tale legge, infatti, oltre al merito di avere riordinato tutto il tema del lavoro non dipendente, ha allargato il campo occupazion­ale legittiman­do di fatto il concetto di precarietà. E oltre alla disoccupaz­ione, in particolar­e quella giovanile (22,9%), a preoccupar­e è proprio il lavoro precario. Questo, soprattutt­o nei giovani, ha spesso impedito la realizzazi­one di progetti di vita che contemplin­o l’indipenden­za dalla famiglia di provenienz­a (oltre due giovani su tre tra i 18 e i 34 anni vivono nella famiglia d’origine) e la formazione di un proprio nucleo familiare.

Per favorire i processi di autonomia dei giovani oltre ad un lavoro stabile appaiono necessari interventi sul salario di ingresso e sulle politiche abitative, tenuto conto dell’elevato livello dei canoni d’affitto che spesso impegnano una parte elevata delle entrate mensili, limitando il dinamismo del mercato del lavoro e le opportunit­à che sono spesso lontane da casa. E tutto ciò ha riflessi drammatici sulla demografia del nostro Paese che, come sappiamo, è il secondo più vecchio al mondo. Insomma, la ripresa economica e quella demografic­a non possono che ripartire dalla via maestra del lavoro.

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