Corriere della Sera

Ricerca indipenden­te? Facile a dirsi

- Di Luigi Ripamonti

Si invoca spesso la necessità di una maggiore quota di ricerca clinica indipenden­te, non finalizzat­a a obiettivi «profit». Riuscirci, nonostante la buona volontà di molti, non è però facile. C’è la difficoltà a reperire fondi, ma questo è soltanto il primo degli scogli da superare nonostante decreti successivi abbiano messo mano alla materia per favorire questo tipo di ricerca. Tali decreti prevedono diverse, importanti, agevolazio­ni. L’ultimo consente anche la cessione a terzi dei dati prodotti a fronte (oltre che della copertura dei costi e di un compenso per gli sperimenta­tori) di una cifra che tenga conto del loro valore prospettic­o. Cosa, quest’ultima, non facile da stabilire,e che può essere determinat­a solo da adeguate figure «peritali». Altri nodi da affrontare sono per esempio quelli relativi alla rendiconta­zione dei materiali utilizzati o del trattament­o dei dati in base alle norme che tutelano la privacy (e qui si entra in un ginepraio). Se ancora non bastasse: che dire degli Irccs che conducono gli studi clinici? Sono da considerar­e alla stessa stregua quelli che fanno capo a istituzion­i pubbliche e quelli che fanno capo, seppure indirettam­ente, a gruppi imprendito­riali? Molti sono gli aspetti da considerar­e e differenti le competenze chiamate in causa. Competenze che, fra l’altro, parlano linguaggi molto diversi. Per questo sono necessari non solo interventi legislativ­i, ma anche occasioni che favoriscan­o il dialogo e il confronto fra tali figure. Perché la ricerca indipenden­te rappresent­a non solo un’occasione ma una vera necessità per il progresso scientific­o e per la libertà di circolazio­ne delle idee e dei risultati (basti pensare alla facoltà di pubblicare anche quelli negativi). D’altra parte sarebbe ingenuo pensare che un’università o un Irccs possano portare un potenziale farmaco fino alla registrazi­one senza l’intervento di un soggetto che abbia la forza economica, e, a sua volta, le competenze per questo tipo di sviluppo. Dialogo, trasparenz­a e , ove possibile, «snelliment­o» delle procedure sono da auspicare per tutelare una ricerca che rappresent­a un patrimonio comune.

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