Come funziona il servizio di assistenza e chi lo attiva
Per ottenere l’intervento dell’infermiere di famiglia ci sono modalità diverse. Di solito basta rivolgersi al medico di medicina generale o al pediatra
Che cosa fanno gli infermieri di famiglia e comunità? Vanno a casa degli assistiti? E come si può attivare il servizio? Nella maggioranza dei casi gli IFeC sono dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (gli altri sono liberi professionisti), come risulta dai dati raccolti da Agenas nelle 14 Regioni che hanno partecipato all’indagine, ovvero Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Bolzano, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Umbria, Campania, Puglia, Calabria, Sardegna. In media un infermiere di famiglia e comunità ha in carico 253 utenti, ai quali dedica mediamente 11- 12 ore a settimana.
Dove sono fisicamente
In attesa delle Case della Comunità dove già operano in alcuni casi - in Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Toscana -, il più delle volte gli IFeC sono fisicamente collocati nell’ambito del distretto sanitario, presso le Unità di cure primarie (UCP) cioè le associazioni dei medici di medicina generale, negli ambulatori dell’Asl, in qualche caso presso l’ambulatorio del medico di famiglia o presso i servizi aziendali, di cronicità o i punti di accesso territoriali.
Oltre a effettuare prestazioni infermieristiche, orientano anche le persone verso i servizi di cui hanno bisogno e su come accedervi. In misura minore, secondo lo studio di Agenas, garantiscono la revisione del piano di assistenza e la continuità tra ospedale e territorio, una delle aree da rafforzare. Svolgono, poi, interventi di prevenzione ed educazione alla salute al fine di migliorare gli stili di vita.
«Per esempio — spiega Lorena Martini, direttore dell’Unità operativa complessa “Formazione ECM” di Agenas — se in una comunità c’è un alto indice di obesità giovanile, l’infermiere di comunità effettua campagne di promozione alla salute; ma realizza anche interventi di natura proattiva, secondo il modello della medicina di iniziativa, cioè non attende ma “va incontro” ai bisogni della persona prima che la patologia insorga o si aggravi, con interventi mirati anche in base ai rischi degli utenti che ha in carico».
Visite a casa
E l’IFeC visita gli assistiti a casa. «In quasi tutte le Asl dove sono presenti, gli infermieri di famiglia e comunità svolgono più o meno le stesse attività, rivolte prevalentemente a persone fragili e anziane che risiedono presso il proprio domicilio — chiarisce la dirigente di Agenas —. Si occupano soprattutto di valutare i bisogni (non solo sanitari) degli assistiti, svolgono interventi di educazione terapeutica (anche attraverso la formazione dei pazienti e dei loro caregivers), monitorano l’aderenza alle terapie, fondamentale per i pazienti con malattie croniche quali scompenso cardiaco, diabete, Bpco, evitando così accessi impropri al Pronto soccorso. Solo una piccola percentuale di IFeC, il 35 per cento, svolge anche attività cliniche e procedure infermieristiche a domicilio».
Attenzione, però, puntualizza Martini: «L’infermiere di famiglia svolge un ruolo diverso rispetto al collega che si occupa di assistenza domiciliare, il quale va a casa del paziente per eseguire prestazioni infermieristiche, per esempio terapie iniettive, medicazioni di lesioni da decubito e altre prestazioni. Piuttosto — prosegue la dirigente di Agenas — l’attivazione delle cure domiciliari (si veda articolo a fianco) può essere la diretta conseguenza della visita a casa dell’assistito da parte dell’IFeC, il quale ha riscontrato questo bisogno e ne parla col medico curante cui spetta attivare il servizio».
Del resto, come risulta dall’indagine di Agenas,nella maggior parte delle aziende sanitarie in cui sono presenti, gli IFeC lavorano in team multidisciplinari con altri professionisti, soprattutto con medici di famiglia (nell’85 per cento dei casi), assistente sodi ciale, fisioterapista, altri medici specialisti, psicologo, assistente sanitario, dietista/ nutrizionista e, in misura minore, con figure che si occupano di riabilitazione quali logopedista, terapista occupazionale, educatore.
«L’infermiere di famiglia e comunità, in virtù dei bisogni individuati e intercettati, si relaziona con gli altri professionisti presenti all’interno della rete dei servizi o nelle Case di comunità, facendo da anello di congiunzione tra loro — spiega la dottoressa Martini —. Quando va a casa una persona, infatti, l’IFeC cerca non solo di individuare e intercettare i bisogni sanitari ma valuta il contesto in cui vive l’assistito». Per esempio, coinvolgerà i servizi sociali nel caso di un anziano poco autonomo che vive da solo in una casa senza ascensore.
La procedura
Come si può usufruire del servizio? Ad attivarlo sono principalmente medici di famiglia/pediatri, in alcuni casi i pazienti che l’IFeC prende in carico sono assegnati dai medici curanti in accordo con al
tri servizi (territoriali, ospedalieri, sociali, Rsa-Residenze sanitarie assistenziali), oppure dal coordinatore infermieristico, in un caso accade che sia lo stesso infermiere di famiglia e comunità a organizzarsi in base agli assistiti presenti in quel territorio.
L’IFeC può essere attivato anche dai servizi sociali.
I modelli
Lo studio di Agenas rileva una grande variabilità di modelli anche all’interno della stessa Regione - per organizzazione dei servizi e del lavoro, sedi di lavoro, bacino di popolazione di riferimento - che però non sempre è indice di anarchia. Spiega Martini: «Il fatto che gli IFeC siano impiegati in modi e contesti diversi, dal domicilio alla scuola e persino in Rsa, può voler dire adattamento sia ai bisogni di utenti che richiedono organizzazione e interventi diversi sia alle caratteristiche del territorio, per esempio nel caso di piccoli Paesi di montagna con pochi abitanti». Le informazioni raccolte sono servite a definire nuove «Linee di indirizzo per gli infermieri di famiglia e di comunità» sul modello di IFeC da adottare a livello nazionale, elaborate da un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti di Agenas, Regioni, Università di Torino e Sant’Anna di Pisa, Fnopi-Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche, Associazione infermieri di famiglia e comunità. «Col documento, attualmente all’esame del ministero della Salute per l’approvazione, s’intende fare chiarezza su chi è l’infermiere di famiglia e comunità e che cosa fa» spiega Martini, che sintetizza così: «È innanzitutto un dipendente del Ssn; è responsabile dei processi infermieristici in ambito familiare e di comunità, con conoscenze e competenze specialistiche in cure primarie e sanità pubblica. Assicura l’assistenza infermieristica in collaborazione coi professionisti presenti nella comunità di riferimento; lavora a domicilio, nelle case di comunità, nelle centrali operative territoriali, negli ambulatori di prossimità; realizza interventi di natura anche proattiva; interagisce con tutte le risorse presenti nella comunità, sia formali che informali, come il volontariato.
Di fatto questo già avviene, come risulta dalle risposte raccolte, quindi non è utopia» sottolinea Martini.
Negli Usa questa figura è nata negli anni ‘60 per rispondere ai bisogni di chi vive in aree rurali e disagiate
In base ai bisogni individuati si relaziona con gli altri professionisti della comunità facendo da raccordo fra di loro
Persone fragili (e sane)
Finché l’IFeC non sarà presente in modo capillare su tutto il territorio nazionale, alla luce di quanto previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza la priorità viene data a persone fragili e con malattie croniche.
In seguito si occuperà di tutti, sia persone malate che sane poiché, come ha sottolineato più volte l’Organizzazione mondiale della sanità, per accompagnare le persone alla vecchiaia in buono stato di salute occorre prenderle in carico fin da giovani.