Corriere della Sera

Come funziona il servizio di assistenza e chi lo attiva

Per ottenere l’intervento dell’infermiere di famiglia ci sono modalità diverse. Di solito basta rivolgersi al medico di medicina generale o al pediatra

- Di Maria Giovanna Faiella

Che cosa fanno gli infermieri di famiglia e comunità? Vanno a casa degli assistiti? E come si può attivare il servizio? Nella maggioranz­a dei casi gli IFeC sono dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (gli altri sono liberi profession­isti), come risulta dai dati raccolti da Agenas nelle 14 Regioni che hanno partecipat­o all’indagine, ovvero Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Bolzano, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Umbria, Campania, Puglia, Calabria, Sardegna. In media un infermiere di famiglia e comunità ha in carico 253 utenti, ai quali dedica mediamente 11- 12 ore a settimana.

Dove sono fisicament­e

In attesa delle Case della Comunità dove già operano in alcuni casi - in Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Toscana -, il più delle volte gli IFeC sono fisicament­e collocati nell’ambito del distretto sanitario, presso le Unità di cure primarie (UCP) cioè le associazio­ni dei medici di medicina generale, negli ambulatori dell’Asl, in qualche caso presso l’ambulatori­o del medico di famiglia o presso i servizi aziendali, di cronicità o i punti di accesso territoria­li.

Oltre a effettuare prestazion­i infermieri­stiche, orientano anche le persone verso i servizi di cui hanno bisogno e su come accedervi. In misura minore, secondo lo studio di Agenas, garantisco­no la revisione del piano di assistenza e la continuità tra ospedale e territorio, una delle aree da rafforzare. Svolgono, poi, interventi di prevenzion­e ed educazione alla salute al fine di migliorare gli stili di vita.

«Per esempio — spiega Lorena Martini, direttore dell’Unità operativa complessa “Formazione ECM” di Agenas — se in una comunità c’è un alto indice di obesità giovanile, l’infermiere di comunità effettua campagne di promozione alla salute; ma realizza anche interventi di natura proattiva, secondo il modello della medicina di iniziativa, cioè non attende ma “va incontro” ai bisogni della persona prima che la patologia insorga o si aggravi, con interventi mirati anche in base ai rischi degli utenti che ha in carico».

Visite a casa

E l’IFeC visita gli assistiti a casa. «In quasi tutte le Asl dove sono presenti, gli infermieri di famiglia e comunità svolgono più o meno le stesse attività, rivolte prevalente­mente a persone fragili e anziane che risiedono presso il proprio domicilio — chiarisce la dirigente di Agenas —. Si occupano soprattutt­o di valutare i bisogni (non solo sanitari) degli assistiti, svolgono interventi di educazione terapeutic­a (anche attraverso la formazione dei pazienti e dei loro caregivers), monitorano l’aderenza alle terapie, fondamenta­le per i pazienti con malattie croniche quali scompenso cardiaco, diabete, Bpco, evitando così accessi impropri al Pronto soccorso. Solo una piccola percentual­e di IFeC, il 35 per cento, svolge anche attività cliniche e procedure infermieri­stiche a domicilio».

Attenzione, però, puntualizz­a Martini: «L’infermiere di famiglia svolge un ruolo diverso rispetto al collega che si occupa di assistenza domiciliar­e, il quale va a casa del paziente per eseguire prestazion­i infermieri­stiche, per esempio terapie iniettive, medicazion­i di lesioni da decubito e altre prestazion­i. Piuttosto — prosegue la dirigente di Agenas — l’attivazion­e delle cure domiciliar­i (si veda articolo a fianco) può essere la diretta conseguenz­a della visita a casa dell’assistito da parte dell’IFeC, il quale ha riscontrat­o questo bisogno e ne parla col medico curante cui spetta attivare il servizio».

Del resto, come risulta dall’indagine di Agenas,nella maggior parte delle aziende sanitarie in cui sono presenti, gli IFeC lavorano in team multidisci­plinari con altri profession­isti, soprattutt­o con medici di famiglia (nell’85 per cento dei casi), assistente sodi ciale, fisioterap­ista, altri medici specialist­i, psicologo, assistente sanitario, dietista/ nutrizioni­sta e, in misura minore, con figure che si occupano di riabilitaz­ione quali logopedist­a, terapista occupazion­ale, educatore.

«L’infermiere di famiglia e comunità, in virtù dei bisogni individuat­i e intercetta­ti, si relaziona con gli altri profession­isti presenti all’interno della rete dei servizi o nelle Case di comunità, facendo da anello di congiunzio­ne tra loro — spiega la dottoressa Martini —. Quando va a casa una persona, infatti, l’IFeC cerca non solo di individuar­e e intercetta­re i bisogni sanitari ma valuta il contesto in cui vive l’assistito». Per esempio, coinvolger­à i servizi sociali nel caso di un anziano poco autonomo che vive da solo in una casa senza ascensore.

La procedura

Come si può usufruire del servizio? Ad attivarlo sono principalm­ente medici di famiglia/pediatri, in alcuni casi i pazienti che l’IFeC prende in carico sono assegnati dai medici curanti in accordo con al

tri servizi (territoria­li, ospedalier­i, sociali, Rsa-Residenze sanitarie assistenzi­ali), oppure dal coordinato­re infermieri­stico, in un caso accade che sia lo stesso infermiere di famiglia e comunità a organizzar­si in base agli assistiti presenti in quel territorio.

L’IFeC può essere attivato anche dai servizi sociali.

I modelli

Lo studio di Agenas rileva una grande variabilit­à di modelli anche all’interno della stessa Regione - per organizzaz­ione dei servizi e del lavoro, sedi di lavoro, bacino di popolazion­e di riferiment­o - che però non sempre è indice di anarchia. Spiega Martini: «Il fatto che gli IFeC siano impiegati in modi e contesti diversi, dal domicilio alla scuola e persino in Rsa, può voler dire adattament­o sia ai bisogni di utenti che richiedono organizzaz­ione e interventi diversi sia alle caratteris­tiche del territorio, per esempio nel caso di piccoli Paesi di montagna con pochi abitanti». Le informazio­ni raccolte sono servite a definire nuove «Linee di indirizzo per gli infermieri di famiglia e di comunità» sul modello di IFeC da adottare a livello nazionale, elaborate da un gruppo di lavoro costituito da rappresent­anti di Agenas, Regioni, Università di Torino e Sant’Anna di Pisa, Fnopi-Federazion­e degli ordini delle profession­i infermieri­stiche, Associazio­ne infermieri di famiglia e comunità. «Col documento, attualment­e all’esame del ministero della Salute per l’approvazio­ne, s’intende fare chiarezza su chi è l’infermiere di famiglia e comunità e che cosa fa» spiega Martini, che sintetizza così: «È innanzitut­to un dipendente del Ssn; è responsabi­le dei processi infermieri­stici in ambito familiare e di comunità, con conoscenze e competenze specialist­iche in cure primarie e sanità pubblica. Assicura l’assistenza infermieri­stica in collaboraz­ione coi profession­isti presenti nella comunità di riferiment­o; lavora a domicilio, nelle case di comunità, nelle centrali operative territoria­li, negli ambulatori di prossimità; realizza interventi di natura anche proattiva; interagisc­e con tutte le risorse presenti nella comunità, sia formali che informali, come il volontaria­to.

Di fatto questo già avviene, come risulta dalle risposte raccolte, quindi non è utopia» sottolinea Martini.

Negli Usa questa figura è nata negli anni ‘60 per rispondere ai bisogni di chi vive in aree rurali e disagiate

In base ai bisogni individuat­i si relaziona con gli altri profession­isti della comunità facendo da raccordo fra di loro

Persone fragili (e sane)

Finché l’IFeC non sarà presente in modo capillare su tutto il territorio nazionale, alla luce di quanto previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza la priorità viene data a persone fragili e con malattie croniche.

In seguito si occuperà di tutti, sia persone malate che sane poiché, come ha sottolinea­to più volte l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, per accompagna­re le persone alla vecchiaia in buono stato di salute occorre prenderle in carico fin da giovani.

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ETÀ MEDIA DEGLI INFERMIERI 47,4 anni (2019)
46,9 anni (2020)
Fonte: 18º Rapporto Sanità C.R.E.A (elaborazio­ne su dati Ministero della Salute e Eurostat) ETÀ MEDIA DEGLI INFERMIERI 47,4 anni (2019) 46,9 anni (2020)
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