Bimbi deportati, scambi di prigionieri La missione di Bergoglio va avanti
Il giorno dopo la visita di Zelensky il Papa parla di Medioriente e «armi che distruggono la pace»
CITTÀ DEL VATICANO Regola uno: non si molla, mai. All’indomani dell’incontro con Zelensky, Francesco si affaccia alla finestra del Palazzo apostolico e, dopo il Regina Coeli, sillaba: «Con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace». Non è un riferimento diretto, l’appello di Francesco riguarda il conflitto «tra israeliani e palestinesi», i nuovi «scontri nei quali hanno perso la vita persone innocenti, anche donne e bambini». Ma tutto si tiene, nella «terza guerra mondiale a pezzi» che Bergoglio denuncia da anni. «Auspico che la tregua appena raggiunta diventi stabile e che le armi tacciano», dice il Papa. E alla fine invita i fedeli a pregare: «Ci rivolgiamo a Maria chiedendo di alleviare le sofferenze della martoriata Ucraina e di tutte le nazioni ferite da guerre e violenze».
In Vaticano resta storica l’irritazione di Giovanni XXIII e del Segretario di Stato Domenico Tardini, quando da Cuba arrivò la notizia della rivoluzione di Castro, all’inizio del 1959: missionari e suore stavano fuggendo dall’isola e invece «non si scappa mai, se no non si può fare più nulla». I contatti con Putin sono ardui fin da quando, il giorno dopo l’invasione russa, il Papa si precipitò, lui, all’ambasciata di Mosca. E sabato il presidente ucraino ha chiuso la porta a una mediazione vaticana, «non abbiamo bisogno di mediatori».
Eppure la diplomazia vaticana è determinata ad andare avanti, la «missione di pace» di Francesco prosegue. C’è la «necessità urgente di gesti di umanità», e l’intesa con Zelensky per «riportare a casa» migliaia di bambini ucraini deportati in Russia. La Santa Sede ha già lavorato allo scambio di prigionieri, mediazioni che «se non servono a ricreare un clima di fiducia tra nemici, possono almeno iniziare a erodere la sfiducia», si spiega.
Così, garantiscono Oltretevere, «si andrà avanti» con le missioni umanitarie. Un preludio ad accordi di pace? Il cardinale Konrad Krajewski, inviato più volte dal Papa in aiuto alla popolazione ucraina, è lapidario: «Tutto quello che facciamo, tutto ciò che il Santo padre ci chiede, è sempre per ottenere la pace».
Ma non si tratta solo di questo. Un diplomatico di vasta esperienza come il cardinale Mario Zenari, 77 anni, da quattordici nunzio a Damasco, dice al Corriere che «le possibilità di mediazione sono varie, c’è sempre un’altra strada: possono servire molto le mediazioni indirette, i contatti con gli amici dell’uno e dell’altro perché siano loro a dare qualche buon consiglio». Francesco ha sempre distinto tra aggressore e aggredito e anche sabato, ai nuovi ambasciatori, ha spiegato che la «neutralità positiva» del Vaticano non ha nulla a che vedere con una «neutralità etica». Però, nella guerra in Ucraina, vede «un campo di battaglia» in cui «le grandi potenze sono invischiate», un «pezzo» della «guerra mondiale» in atto, come in Siria.
Se lo si chiede al cardinale Zenari, il nunzio sospira: «Le cose stanno così. È facile vedere, in questi conflitti, il patrocinio nefasto di potenze che vogliono accaparrarsi il mondo. Qui in Siria operano cinque eserciti». Come si fa? «Molte ambasciate hanno chiuso, a Damasco. Io sono rimasto, ho mantenuto i contatti. Ci sono state due missioni
La lezione siriana «L’impegno umanitario può essere un primo passo», spiega Zenari, nunzio a Damasco
della Santa Sede, nel 2016 portai al presidente Assad una lettera del Papa, che poi inviò anche il cardinale Turkson...lettere, incontri, pure nel caso dell’ucraina la Santa Sede lo ha già fatto». Proprio la Siria mostra quanto a volte la situazione appaia disperata, però «questa è la nostra missione, è quello che dobbiamo fare, e l’impegno umanitario può essere un primo passo», conclude Zenari: «Ci vogliono mediatori come anticorpi all’odio, alle armi. Le soluzioni non arrivano dalla sera al mattino, non bisogna lasciarsi andare».