«La via per la democrazia è lunga ma liberarci dal Sultano ci farebbe riprendere fiato»
«Mi sembra che il tweet di Erdogan in cui dice all’opposizione che sta cercando di usurpare la volontà nazionale mostri tutta la debolezza del presidente. Ma se si andrà al secondo turno sarà un brutto momento per il Paese». Mehmet Altan, 70 anni, accademico e giornalista, è nella sua casa di Istanbul dove vive in una specie di limbo. La sua è una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile. Fu arrestato, insieme al fratello Ahmet, 10 settembre 2016 e accusato di aver favorito il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 attraverso messaggi subliminali mandati ai cittadini dalla tv: «Tutto il mondo ha riso per quelle accuse — dice amaramente —. Oggi sono libero ma non ho riottenuto il mio lavoro di professore di Economia all’università di Istanbul e non posso andare in tv, né scrivere per i giornali. Mi censurano in continuazione». Ieri sera, incollato davanti alla tv, ha commentato con il Corriere i risultati elettorali.
Perché teme il secondo turno?
«Potrebbe essere molto spiacevole, ci saranno attacchi, un clima di paura. Faranno di tutto».
Negli ultimi dieci anni come è cambiato il Paese in termini di diritti umani?
«Il regime di Erdogan ha cominciato ad allontanarsi dalla democrazia nel 2011 ma è stato nel 2018 con la repubblica presidenziale che è diventato una vera autocrazia».
L’alleanza della Nazione riuscirà a rimettere il Paese sulla strada giusta?
«Noi siamo come dei minatori che lavorano sottoterra e non hanno l’aria per respirare, se vincerà Kemal Kiliçdaroglu prenderemo finalmente un po’ d’aria ma la strada per la democrazia in Turchia è ancora lunga. La Turchia non è riuscita a democratizzarsi negli ultimi cento anni, cioè da quando è stata fondata. Purtroppo nel nostro Paese la politica non è democratica».
Cosa intende dire?
«Nel 1991 avevo fondato il movimento politico proprio per democratizzare il Paese ma la gente non era pronta. Così non abbiamo
ancora raggiunto gli standard europei. La verità è che per 80 anni siamo stati preda di colpi militari e negli ultimi 20 abbiamo avuto una dittatura islamista. In Turchia ci sono due pilastri, le Caserme e le Moschee, speriamo che arrivi pure la democrazia».
Cosa bisogna fare per riformare la giustizia ed evitare nuovi casi come il suo?
«Durante il regno di Erdogan sono stati assunti 2 mila giudici e procuratori membri dell’akp. Se non vengono licenziati non c’è speranza».
Alla fine lei, comunque, è stato assolto.
«Sì, ho passato in carcere 21 mesi, di cui 5 dopo che una sentenza della Corte Costituzionale avesse stabilito che la mia detenzione era illegale. Uno dei 4 giudici che ha violato le norme è stato eletto alla Corte di Cassazione. Non c’è giustizia ma solo fascismo».
Secondo lei i laici nel Paese sono marginalizzati?
«No, non lo credo, l’islam politico è ormai una minoranza in Turchia ma l’opposizione è molto frammentata. Quando sono andati al potere avevano promesso che avrebbero portato la democrazia e dicevano di essere discriminati ma hanno oppresso talmente tutti quanti che la gente ha reagito. È pazzesca la corruzione che hanno portato».
Kiliçdaroglu ha rivendicato orgogliosamente di essere alevita. È stato sorpreso?
«Se penso da cittadino turco è stato rotto un tabu, ma come cittadino del mondo trovo assurdo che stiamo ancora strisciando per ottenere i diritti umani di base».
In caso di vittoria dell’opposizione cambierà la politica estera?
«Per forza. La luce verde dell’occidente per Erdogan è diventata rossa dopo l’invasione dell’ucraina, lui ha tentato di tenersi in equilibrio tra Ue, Usa, Cina e Russia ma alla fine ha perso la fiducia dell’occidente. E così non si può continuare»