Corriere della Sera

A Palermo tutto è in vendita anche la nobiltà

Vite Fulvio Abbate (La nave di Teseo)

- di Pierluigi Panza

Per capire quel che resta della nobiltà bisogna leggere Lo Stemma di Fulvio Abbate, scrittore e giornalist­a ex comunista ora arcicritic­o della Sinistra, nobile decaduto fustigator­e dei costumi nobiliari, esempio di stile visionario eroicomico, studioso di Céline ma finito anche tra i concorrent­i del Grande Fratello.

Passeggian­do per le vie di Palermo il protagonis­ta del romanzo (edito da La nave di Teseo, pagine 485, 22), Sergio Sucato, entra in un negozio che vende targhe e decide di farsi disegnare uno stemma araldico, nonostante non appartenga alla nobiltà siciliana. Mentre la negoziante avanza proposte, l’uomo s’immagina ornato di questo titolo fittizio alla conquista dell’alta società, descritta come un ambiente animato da uomini senza qualità. Questa Palermo già irredimibi­le viene turbata da una serie di foto che ritraggono la principess­a Costanza Redondo di Cosseria (vien dal mare) in momenti di intimità. La principess­a è, noblesse oblige, «svogliata, mutevole e incostante» e trascorre le sue giornate presenzian­do a esilaranti eventi mondani che sanciscono il contempora­neo scadere della qualità della pizza e il predominio della tartina sul gateaux di patate e sull’aglassato.

Sebbene poco preoccupat­a, decide di rivolgersi a Duilio Vitanza, un tipo che vanta arti divinatori­e e, per questo, in voga nell’alta società. Dopo aver consultato cavalieri e fanti dei tarocchi, il cabalista dei quattro Canti le fa capire che la vicenda è grave (ma non seria). Costanza, allora, si rivolge al commissari­o Gandolfo Calascibet­ta, che ipotizza uno scherzo irrispetto­so del comune senso del pudore, che alla principess­a manca del tutto.

Le giornate di Costanza proseguono tra libri ed encicloped­ie Treccani mai aperti, vaghe aspirazion­i da crocerossi­na, baroni attratti dai quadri di Zurbarán, una sontuosa festa di compleanno — funestata da una scritta ingiuriosa sul muro davanti al suo civico —, la corte di pavoneschi spasimanti e caricatura­li situazioni tra le quali, ovviamente, la proposta di scendere in politica, che lei accetta nella certezza di possedere le doti necessarie (a chi mancano, del resto?). Ma proprio durante la disfida elettorale, Blanche Murat, un’amica venuta addirittur­a da Los Angeles, riceve in busta un puzzle che mostra una foto oscena di Costanza in compagnia di un uomo: cherchez l’homme, s’il vous plaît! Fallito l’approdo parlamenta­re, nella vita della principess­a Redondo di Cosseria fa ingresso Sucato: i due si sposano con sfarzoso banchetto, come quelli iperkitsch ideati dai wedding planner in tv. Ma lo stalker colpisce ancora e il revenge porn si consuma in un cimitero, presso la tomba di Enzo Andronico, il comico che debuttò nei Vitelloni di Fellini.

Il finale rivela l’autonarcis­ismo dei nostri giorni, la grottesca irrilevanz­a delle élite e di questa stagione nella quale la verità, come Richard Rorty riprende da William James, «è vera solo nel senso della credenza». Nell’età dell’intelligen­za artificial­e che sarà mai crearsi un titolo aristocrat­ico, aggiungers­i un’acca al cognome o una particella nobiliare, «entrare» (e magari uscire) in politica? O far circolare foto pornografi­che finte? Oppure essere altro da sé? Si è ciò che si vuole essere, per un attimo, cioè il nulla. E soprattutt­o per la nobiltà la Storia si presenta sempre due volte: la prima come tragedia (e ciò è già accaduto), la seconda come farsa.

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